Ety Cicioni,
il sarto giuliese che veste le Guardie Svizzere
del Vaticano
di Ludovico
Raimondi
Ety, Lei è stato
nominato sarto del Vaticano per caso: come lo
definirebbe il giorno in cui ha avuto questa
proposta? E cosa ha provato?
Non so dire cosa ho
provato, ma sicuramente stupore e grande
sorpresa. Inizialmente non capivo della grande
opportunità che mi stava capitando, ma poi, dopo
un susseguirsi di incontri, ho capito che era
l’occasione della vita.
Sarto lei è “nato” per
tradizione di famiglia o lo è “diventato” per
passione e vocazione?
Sarto lo sono diventato
nel tempo. Pensi che tra i 15 e 18 anni ho fatto
esperienze estive in panetteria, poi un po’ per
esigenza, un po’ per opportunità lavorativa, ho
iniziato a lavorare come apprendista in
un’azienda tessile, grazie a mio zio Vincenzo Di
Diodoro e mamma Marisa che mi è stata molto
vicina sia nel lavoro che nella vita.
Una recente inchiesta
pone quello del sarto tra i 150 mestieri
artigianali in estinzione. Lei è d’accordo? E
nel caso, perché i giovani non si avviano più a
questo lavoro che pure è creativo e, in certo
senso, artistico: mancano gli allievi o mancano
i maestri? O la sartoria industriale della moda
ha trasformato questa professione? O si è persa
l’abitudine di “farsi cucire il vestito su
misura” proprio da parte della clientela?
Questa domanda, così
posta, risulta molto complessa. Sicuramente
tutti i quesiti posti da lei hanno un po’ di
verità; l’industrializzazione ha portato ad una
trasformazione della professione, poi i ragazzi
d’oggi sembra che non hanno pazienza
nell’imparare perché ci vogliono anni, e allo
stesso tempo noi sarti spesso non riusciamo ad
investire anni affinché si raggiunga la
professionalità di un dipendente, anche per i
costi elevati da sostenere. Inoltre, non ci sono
tante scuole alternative professionali e quelli
esistenti sono in grandi città, quindi costose
nel frequentarle e nel viverle.
Gennaio 2003,
Papa Giovanni Paolo II accarezza il piccolo
Matteo, primogenito di Ety e di Lucia
Quali sono i ricordi
indelebili che la legano a Papa Giovanni Paolo
II e a Papa Benedetto XVI?
I ricordi più
importanti con Papa Giovanni Paolo II iniziano
nel 1999 in una messa nella cappella privata
nel suo appartamento con mia moglie (allora
fidanzata), mia mamma e mia sorella Valeria.
Successivamente nel 2000, Giovanni Paolo II
accolse in un baciamano io e mia moglie,
rivestiti da sposi. L’emozione più grande,
tuttavia, fu quando prese tra le mani il nostro
primo figlio Matteo nel gennaio 2003. Con Papa
Benedetto XVI, invece, il ricordo indelebile è
stato quando nel gennaio 2006 ha battezzato il
nostro secondo figlio Emanuele nella Cappella
Sistina, sicuramente un momento indimenticabile.
Gennaio
2006, Papa Benedetto XVI battezza Emanuele nella
Cappella Sistina, altra emozione indimenticabile
nella vita in Vaticano di papà Ety e mamma
Lucia.
Lei ha aperto un
atelier per il clero e non solo: è stato sempre
il sogno nel cassetto, almeno l’atelier, o è
stata un’idea nata come conseguenza naturale del
suo lavoro in Vaticano?
No, non era un sogno
nel cassetto, è stata una conseguenza naturale
del lavoro in Vaticano, però penso che tanti
giovani, e non, vorrebbero avere un’attività
propria.
Avvierà i suoi figli
verso la professione del sarto o verso la
gestione dell’atelier o darà loro via libera per
seguire le proprie attitudini?
I miei figli sono
ancora troppo piccoli. Indubbiamente sarei
felice se loro volessero continuare la mia
professione, ma darò loro libertà di seguire le
proprie attitudini. Già ora il mio lavoro si
lega spesso alla mia vita privata, mia moglie mi
segue in alcune situazioni legate all’attività.
Dica la verità: se non
le fosse capitata questa opportunità, avrebbe
continuato a fare il sarto?
Probabilmente avrei
continuato nel settore tessile, sicuramente più
industrializzato, ma amo questo lavoro, mi dà
passione e ho sempre profuso tanto impegno,
anche quando facevo cose più banali e meno
considerate.
Quanto deve, invece, a
sua mamma Marisa, la sua “maestra”?
Forse mamma non è stata
la maestra sul lavoro, anche se mi aiuta tanto e
collaboriamo continuamente, ma di sicuro è stata
e lo è ancora una maestra di vita. La sua
presenza e il suo sostegno sono una certezza per
me e per la mia famiglia.
Ha avuto sempre una
profonda fede religiosa, anche prima
dell’incarico in Vaticano? Ovvero, era anche
questo un requisito fondamentale per l’incarico?
Il requisito minimo era
di essere cattolico, e per quanto mi riguarda la
fede religiosa si è rafforzata molto nel corso
degli anni trascorsi in questo ambiente. Ci sono
degli aspetti della vita lavorativa che, in
questo particolare luogo di lavoro, si
caratterizzano in maniera unica. Trovi spesso
una legame tra fede, storia e quello che svolgi
che ti sembra di esserne componente essenziale.
E’ bellissimo.
Che cos’è oggi il
Vaticano per Lei e per la gente?
Per me è il centro
della cristianità mondiale mentre per la gente
non saprei, ma vedo passare costantemente
milioni di persone ogni anno e credo che questo
significhi qualcosa.
Quale esperienza umana,
oltre che professionale, Le è particolarmente
cara del suo lavoro?
Il contatto con tante
persone e poi il rapporto con tanti ragazzi
della Guardia Svizzera i quali si instaura un
rapporto familiare.
Lei ha sposato una
giuliese, Lucia, e torna spesso a Giulianova.
Come trova la città con l’occhio più distaccato
del “forestiero”?
La città è sempre
bella. Sicuramente non vivendola più con la
stessa intensità di un tempo perdo alcuni dei
passaggi della sua trasformazione.
D’acchito, cosa le
viene di suggerire per migliorare Giulianova?
Legandomi anche
alla precedente domanda, posso dire che la città
mi piace molto ma – girando spesso l’Italia e
altri paesi – noto che manca una cultura
turistica mirata all’accoglienza delle persone.
Il porto turistico esteticamente è molto
deficitario, non c’è un ristorante al suo
interno o una bella passeggiata o negozi. La
stessa cosa posso dirla anche per le altre
attività economiche presenti al lido, sembra che
ognuno pensi troppo a se stesso e non ci sia
un’organizzazione che “piloti” gli eventi in
città. Forse, per dirla in una parola, sembra
che regni tanta
improvvisazione. Calici e musica sotto le
stelle mi sembra l’unico evento degno di una
città turistica di primo livello come è
Giulianova. Penso sia necessario fare qualcosa
di più. |