Direttore  Responsabile Ludovico RAIMONDI

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  I racconti vincitori del V Premio Giammario Sgattoni 2010

Giulianova, 13 Gennaio 2011 - Dopo una lunga riflessione, dovuta al timore di cadere nella trappola dell'autocelebrazione, ho deciso di pubblicare su www.giulianovailbelvedere.it il racconto L'Anello dell'adolescente in seguito alla richiesta di amici e di interessati che si aspettavano la stampa dei lavori dei vincitori su iniziativa dell'associazione promotrice ed organizzatrice del premio, la Pro Loco di Garrufo di S. Omero. La Pro Loco non ne ha avuto la possibilità e bisogna darle atto della riserva riportata in tal senso nel bando del concorso. Con lo scopo di gratificare, in maniera disinteressata e amichevole, i lavori dei vincitori e di rendere omaggio, nella modestia del nostro portale, alla memoria della figura culturale, professionale ed umana di Giammario Sgattoni, è nata l'idea di pubblicare, con il consenso degli autori, i racconti  di Giuseppe Graziani e di Maria Teresa Barnabei, rispettivamente 2° e 1° classificati. La pubblicazione avverrà con cadenza settimanale. E chissà, da cosa nasce cosa... (dir)

 
L'anello dell'adolescente
Racconto breve di Ludovico Raimondi
3° classificato al V Premio Giammario Sgattoni 2010 di Garrufo di S. Omero (Te) dal tema: "Una storia d'amore di oggi e di ieri"

 

L’ANELLO DELL’ADOLESCENTE

 

 

La foto mi colpì. Il messaggio, con conseguente suggestione, ancora di più: “Che dite, posso essere vostra amica?”. Una miscela esplosiva di ammiccante ambiguità sconvolse la vulnerabilità della mia senile ricerca  di risvegli passionali. Rosanna, una mora di 31 anni, dal viso angelico e dagli occhi viola alla Liz Taylor, aveva centrato il bersaglio, come sa fare Facebook al femminile. La sua katana affondò nel panetto di burro del mio peterpanismo, di cui sono geloso conservatore. Forse per reazione esorcistica all’inarrestabile scansione degli anni, forse per il mai debellato virus di fanciullismo che mi ha contagiato anche nella maturità, fatto è che mi uscì di getto rispondere al messaggio: “Che la natura sia benedetta... Ci mancherebbe altro!”. A 55 anni, sposato, con due figlie, come si poteva verificare sul mio profilo senza segreti, ostentatamente raffigurante me stesso, avevo abboccato all’amo del social network. I messaggi su FB di solito mi erano rituali. Questa volta il cuore accese i suoi speciali e, non curandosi minimamente delle flebili resistenze di raziocinio, cominciò a scandire il conto alla rovescia verso l’ora, il minuto, il secondo della replica di Rosanna. Non ero aduso alla frequenza dei contatti FB. Toh, un paio di cliccate e fuga, a tempo perso, tanto per… Meno di frequente, comunque, rispetto all’iniziale coinvolgimento dal quale mi ero lasciato sopraffare per burla e per provocazione di un “amico”.  Uno in carne e ossa, non virtuale. Ho sempre aborrito internet e i suoi dintorni finchè il mio lavoro di giornalista non me li ha imposti. Un male necessario con il quale ho imparato dapprima a convivere e, a mano a mano, a districarmi persino discretamente. Chi lo avrebbe mai detto? Tutto questo, però, è solo pretestuosa e poco convinta giustificazione. La verità è che, volente o nolente, cominciai a collegarmi a FB con frequenza quasi ossessiva, in attesa di Lei: in ufficio, a casa, ovunque avessi a portata di mano uno straccio di collegamento. Mi feci insegnare anche l’uso dell’opzione internet del mio cellulare, prima di allora un semplice aggeggio, nella mia concezione, a mala pena utile per effettuare o ricevere telefonate essenziali. Il pallino era diventato uno solo, costante ed isolante: un segnale di Rosanna. Spasimavo. Dodici ore, un’eternità. Niente. Dodici ore e un quarto. Niente. Dodici ore e mezza, ancora niente. Che cavolo! Proprio vero che le donne, specie se avvenenti consapevoli, sanno giocare fino al cinismo con i rigurgiti di gioventù di un qualsiasi maturo rimbambito. Dodici ore e trentacinque. Eccolo! Un messaggio da facebook. Cliccai con la stupefacente rapidità di un esperto informatico quale non ero mai stato e mi apparve Rosanna, lo sguardo più attraente di una calamita e più luminoso che mai nell’identico francobollo fotografico di dodici ore e trentacinque minuti prima: “Che carino, Pierfranco! Sei davvero simpaticissimo. Ciao. Rosanna”. Irreale. Non aveva nemmeno tenuto conto della mia senile sventatezza. Forse non ci aveva fatto caso. “Perché avrebbe dovuto?”, mi chiese un lontano parente ancora in se’ del mio cervello. In fondo, era soltanto un approccio innocente su FB. Ma sì, che importanza aveva? Eravamo “amici” ora, Rosanna ed io. Per l’esattezza, Rosanna era l’”amico/a” n. 358 di FB. Chissà come mai, però, quel numero attivò nelle mie orecchie la sigla di You Can Leave Your Hat On di Joe Cocker in 9 Settimane e 1/2, e mise  in moto il meccanismo della strategia di conquista che avrebbe dovuto condurmi a stringere quella ragazza irresistibile in un’alcova non importava dove nascosta, purchè fosse al più presto. “Voglio, devo incontrarla”, mi intimava la parte single e malandrina di me. Verrà il momento dell’avventura sfrenata, disinibita – pensai - e il mio messaggio di rimando partì pressoché incontrollato: “Grazie Rosanna. A presto”. Di più non mi uscì di scriverle e proprio questa involontaria stringatezza fu il segnale più pericoloso. “A presto”, nel mio immaginario, era un contenitore in codice di tutte le mie sensazioni e di tutte le mie intenzioni. Ero certo che Rosanna lo avrebbe decifrato correttamente. Tredici ore e venti, un nuovo messaggio. Rosanna aveva decodificato…”Pa’, mi sento delusa e ferita cm figlia, anke x mamma. Vi kredevo 1 sola cosa, nn pensavo ke tu facessi qsto”.  Una scudisciata in gergo sms o FB. Vanessa, la mia primogenita, poco più giovane di Rosanna, mi aveva intercettato, com’era logico che fosse nel mondo aperto di FB al quale, stupidità nella stupidità, ero iscritto insieme alla mia prole. La scudisciata mi risvegliò dal vagheggiamento e mi riportò alla realtà. L’impietosa realtà. Dovevo una spiegazione a Vanessa, e di rimbalzo alla sorella che non aveva avuto lo stesso ardito coraggio di sbattermi in faccia la sua disapprovazione. Vanessa, del resto, era tosta. Il tipo o dentro o fuori, o bianco o nero. Un Capricorno. Dovevo una spiegazione ma senza abbassare la testa, con una fermezza della serie “ma come ti permetti di giudicare dalle apparenze?”. Dapprima mi limitai a parare il colpo: “Se ho dato l’impressione di fare il cascamorto con Rosanna chiedo scusa, non era nelle mie intenzioni. Mi conosci bene, per carattere sono scanzonato, ironico, aperto. Per questo ho un buon rapporto con la gente”. Mi venne, però, di sferrare un montante pesante, forse troppo, quello che avevo in mente in partenza: “In ogni caso, non ti permetto di giudicarmi. Credi che se avessi voluto allacciare una tresca con Rosanna lo avrei fatto su FB? E io ti ho forse rimproverato, da padre, quando ho letto messaggi tuoi non proprio innocenti? Ciao. Pa’”. Avevo vinto per kot. Vanessa, rialzatasi a stento dal tappeto, mi chiese scusa per avere dubitato delle mie reali intenzioni, il che accrebbe il mio disagio nei suoi confronti perché la coscienza, nel frattempo, mi bisbigliò un paio di cosine spiacevoli. Se Vanessa aveva incrociato la mia rotta in FB ed in FB le avevo risposto per le rime su un argomento che avrebbe dovuto stare fuori da un network qualsiasi, significava che qualcosa non quadrava nel nostro rapporto filiale e nel rapporto familiare, sua mamma (mia moglie) compresa.  E se mi ero piccato tanto, la deduzione era elementare: il colpo del ko lo aveva sferrato mia figlia a me, percependo la verità, quella che io avevo cercato di nascondere a lei ma non potevo nascondere a me stesso. Desideravo Rosanna, la trasgressione. Lo dimostrarono i giorni e i mesi seguenti, ravvivati e agitati da peripezie fanciullesche, sovrastanti la razionale esperienza del (presunto) adulto. Non essendo un adone, nonostante una buona fotogenia, non capivo quale mia sconosciuta virtù avesse fatto breccia nel cuore da facebook della trentenne, seducente Rosanna. Almeno in un primo tempo credei che fosse stato tutto merito della mia capacità di toccare le corde giuste del soddisfacimento della vanità che la ragazza aveva tradito implicitamente con il suo ammiccante messaggio originario. Una così, che sa di essere una bomba, va brillata come una bomba. Con la mia “amica” n. 358, sicuramente speciale, si interruppero i messaggi FB e di per se’ anche questo implicava il passaggio da una corrispondenza normale, come le numerose altre, ad una nuova sfera di infingimenti e di sotterfugi. Qualcosa non più in buona fede, per intendersi. Cominciarono gli incontri e gli appuntamenti.  Al bar per un caffè, in redazione con una scusa qualsiasi sulle sue attività in campo culturale, sul lungomare per una corsetta salutare e casuale solo agli occhi altrui, ai campi da tennis, sul masso frangiflutti del porto depositario dei miei ricordi più belli dell’adolescenza e della giovinezza a misura d’uomo che mi avevano convinto a non lasciare la mia città, Giulianova, per una carriera diversa ed appagante a Roma. Non mi ponevo alcun dubbio ed alcuna domanda su come mai non mi sorprendesse l’accondiscendenza priva di fronzoli di Rosanna all’empatia che si era creata tra di noi, subdola ma reciprocamente cosciente. Dalle nostre parti si dice che ”quelle che nen’se fa nen’se sa”. In barba al detto, io riuscivo a tenere il segreto. Merito della complicità, per motivi suoi a me sfuggenti, di Rosanna. Malgrado il carico dei miei turbamenti  provocati dallo sforzo di fare apparire tutto normale nella mia sconvolta quotidianità, e malgrado i sobbalzi in piena notte, a me non sembrava di tradire mia moglie. E nemmeno le mie figlie, preso com’ero in maniera istintuale da una giovane che poteva essere la loro sorella. Il turbinio dei miei desideri, non completamente appagati e soddisfatti nella routine, abbatteva ogni barriera. Eppure negli incontri tra me e Rosanna scattò un congegno romantico inimmaginabile per due navigatori in internet, almeno secondo gli stereotipi che di essi hanno perbenisti e tradizionalisti. Rosanna ed io eravamo capaci di intrattenerci anche un paio d’ore – tante se rubate alla clandestinità –  sui miei articoli, sulla storia, sulla politica, sui nostri anni di università, sulle sue difficoltà di trovare l’occupazione adeguata alla sua laurea in Psicologia. Ancora più incredibile a credersi, salì in superficie la comune passione per la poesia. La poesia dei classici, ma soprattutto la poesia dei nostri cassetti, i versi che ognuno di noi, comuni italioti, butta giù e tiene chiusi a chiave nel proprio pudore. Rosanna, causa la sua naturale predisposizione di psicologa a disinibire le anime ritrose, fece in modo che io aprissi inavvertitamente il mio cassetto. Dall’involucro delle mie adolescenziali ispirazioni caddero su un foglio a quadretti spiegazzato alcuni versi, resi quasi illeggibili dalla scrittura ansimante e timorosa che essi si disperdessero nell’aria:

 

Mi accompagni ovunque.

 

Sei il mio sogno

                                            e sei il mio incubo.

il fuoco che mi brucia

                                            e il ghiaccio che mi gela.

Sei la mia purezza

                                            e il mio peccato,

la mia libertà

                                            e la mia prigionia,

il mio coraggio

                                            e la mia vigliaccheria,

il risveglio dell'ardore

                                            e il sonno del torpore.

Sei la mia adolescenza

                                            e la mia senilità:

le ali dell'incoscienza

                                            e le catene della razionalità.

 

Sei  la mia Lucia

                                            e la mia Ortensia,

sei la mia Laura

                                            e la mia Francesca.

Sei l'attimo che fugge

alla tua partenza

                                            e l'eternità che separa

                                               dal tuo ritorno.

 

Siccome l’amore o la disperazione rende a volte idioti e ridicoli nella svendita della propria dignità, ebbi il coraggio di declamarli ad alta voce, come mai mi era riuscito di fare in tanti anni durante i quali decine di poesie erano ingiallite nella scrivania del mio studio. E gliele lessi, io sprofondando nei suoi occhi alla Liz, ficcanti ed enigmatici, lei scrutandomi con insospettabile interesse e gratificante ammirazione. Io non assaporavo più lei con la voluttà del ricercatore d’avventura, lei mi accettava senza mai chiedere dettagli imbarazzanti sul mio stato coniugale. Sapeva che io sapevo che lei sapeva, tanto per parafrasare il titolo di un emblematico film con Alberto Sordi e Monica Vitti. Parlavamo tanto di noi due che fu inevitabile alzare il velo da una verità che sconcertò la mia posizione già sconcertante di fedifrago: Rosanna era figlia di un mio vecchio compagno delle scuole superiori. Il bello è che lei ne era al corrente sin dall’inizio della storia ma tirò fuori il jolly, con la naturalezza di chi dà tutto per scontato e naturale, in un pomeriggio uggioso in cui ci ritrovammo, per la prima volta, nel fatidico nido che si era ficcato nella mia immaginazione dalla sua prima richiesta di amicizia su FB: il suo appartamento. Era un monolocale arredato con sobrietà e tinte variegate ma non forti, rassicuranti, accoglienti eppure per niente spenti. Un ambiente che accresceva in me la considerazione verso una ragazza non sprovveduta, intelligente, che non faceva nulla per caso o nulla che non volesse. Ebbene, in quei frangenti estatici, Rosanna ammiccò: “Mio padre mi ha detto che a scuola te la cavavi, al contrario di lui, ma facevi tribolare i professori con il tuo caratterino ribelle. Anche a calcio avevi un talento fumantino”. Rimasi di stucco, con la sorpresa di chi scopre l’acqua calda e sbiascicai: “Tuo padre?!”. Rosanna tratteggiò in due parole l’identikit dell’artigiano che aveva un capannone a una decina di chilometri dalla mia città. Ma certo, che imbranato! Come avevo fatto a non ricollegare il cognome, l’appartamento sulla nazionale per Teramo, la fisionomia di Rosanna spiccicata a quella di Giacomo…Diamine, Giacomo, il marcantonio un po’ Garrone che alle Magistrali, durante la ricreazione, mi allungava un pezzo di stozza con la ventricina o con una mortadella profumatissima e si schierava sempre con me a pallone nei giorni di cup appena fuori Teramo. Primordiali sinergie di gruppo. Sicuro, Giacomo, che un giorno di 37 anni fa mi aveva presentato una splendida ragazza di Civitella del Tronto (nella foto) con la quale mi fidanzai, una cotta che arrivò  a bruciare 45 chilometri di zig zag in 35 minuti, una doppietta dietro l’altra sulla Fiat 500 L gialla, tre volte a settimana, più gli extra, frequenti, appena avvertivo il desiderio di un abbraccio nella Fortezza o nel cortile della casa di una sua amica, ritrovo galeotto di atmosfera flaubertiana in Madame Bovary. Un fuoco giovanile che sentivo ardere di nuovo dentro di me al cospetto di Rosanna, adesso in camicetta succinta ma lunga il tanto da occultare le intimità. Nel pomeriggio uggioso del mese tre, giorno sedici, ora diciassette, minuto ventuno di spericolatezze, sotterfugi e peripezie spasmodicamente secretati, d’improvviso le note travolgenti di You Can Leave Your Hat On cominciarono a sfumare. Non so se avevo captato giusto il “mi piace stare con te” sussurrato da Rosanna nella magica atmosfera in luogo di un troppo impegnativo “ti amo” che, al contrario, avevo la tentazione di azzardare io. Davanti a me era a portata di mano l’oggetto dei desideri di mesi di clandestinità, di ipocrisia, di doppio gioco, di scuse più o meno sciocche che avevano ammantato anche ogni senso di rimorso e di pudore, ed ogni coerenza con i fondamenti di fedeltà in quasi sei lustri di matrimonio. Avevo di fronte la ragazza che aveva scagliato la freccia della seduzione su FB, che avevo accarezzato su FB, che avevo posseduto su FB. Davanti a me Lei, non più la semplice “amica 358”. D’un tratto dietro di lei apparve e svanì Giacomo, il mio compagno di scuola. E via via, come negativi di una pellicola, la sagoma di Vanessa, con il viso ombroso, l’espressione accigliata di sua sorella (l’altra mia figlia) e gli occhi compassionevoli della loro mamma (mia moglie). Qualche luccichio di sudamina ed un improvviso pallore tradirono il mio stato d’animo. “Che hai?”, mi chiese Rosanna con aria investigativa, tanto svestita quanto interdetta. “Scusami, mi sono ricordato che devo inviare un articolo al giornale. Sono in ritardo”, ruminai. Ebbi appena la forza di sfiorare il suo viso con una carezza tremante. Rosanna ricambiò con un sogghigno che smise di essere interdetto e preoccupato per diventare dolce e comprensivo, accompagnato da un eloquente: “Già!”. Mi precipitai fuori dal monolocale, improponibile rifugio delle mie nostalgie ruggenti, e mi infilai in auto, mentre si faceva avvertire l’ultima, incalzante vibrazione del cellulare. Frugai affannosamente nella tasca del mio impermeabile dove il tecnologico richiamo all’ordine e alla realtà era aggrovigliato. Mi ritrovai in mano 5 chiamate perse nel display, nessuna del giornale, ed un pacchetto rosso, accuratamente infiocchettato. Dentro, un anellino.

   
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Ludovico Raimondi

Nato il 1 settembre 1950, a Giulianova, dove vive, è Responsabile della Sezione Cultura, Sport e Tempo Libero del Comune di Giulianova. E' laureato in Lingue e Letterature Straniere ed ha conseguito tre master sulla Pubblica Amministrazione. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti Pubblicisti, è corrispondente da Giulianova de Il Corriere dello Sport- Stadio  e  de Il Tempo, ed ha collaborato con diverse testate di stampa, radio e televisione. Autore delle due edizioni del libro Gaetano Braga, suggestioni in letteratura, di altri brevi saggi su illustri giuliesi, redattore ed autore della Collana I libri del Perché, Come, Dove e Quando nel progetto Giunti-Walt Disney Edicational.

 

  Testata giornalistica iscritta al n° 519 del 22/09/2004 del Registro della Stampa del tribunale di Teramo