Domenico Stinellis, l'artista del
clic papale
NEW YORK, 14.7.2013
-
Giorni or sono, durante il ricevimento in onore
di un collega giornalista, il cronista ebbe modo
di ascoltare una conversazione incentrata sul
fotogiornalismo moderno ed i suoi “personaggi”
che lo rendono sempre più importante e seguito.
Ad un tratto spuntò un nome: Domenico Stinellis,
il Capo del settore fotografico della Associated Press Italiana, persona di estrema
professionalità e serietà, un “profeta”,
perfetto “narratore della fotografia”, secondo
il
il commento del collega del “Time”.
E’ bastato uno sguardo al suo curriculum per
apprendere i meravigliosi segreti della carriera
del cinquantenne Stinellis, romano di origini
giuliesi.
Domenico vanta una grande caratteristica: ha
visto e fotografato almeno tre Papi (Wojtyla,
Ratzinger, Bergoglio), che ha seguito ovunque.
Naturalmente, seguirà Papa
Francesco nel suo storico primo viaggio in
Brasile.
Estremamente riservato, ha passione per la
tecnologia applicata alla fotografia ed una
ironia che, a detta dei colleghi fotografi e
photoeditor , ”fa piegare in due dalle
risate”. Siamo grati al collega per la
gentilezza nel concedersi al gioco delle
“domande e risposte”
Stinellis, gradiremmo conoscere la differenza
tra un Papa e l’altro per quanto riguarda la
vita del fotografo ufficiale del Vaticano.
«In realtà io e i miei colleghi di altre agenzie
che seguiamo regolarmente il Santo Padre, non
possiamo essere definiti fotografi "ufficiali"
del Vaticano. Noi siamo piuttosto dei
vaticanisti fotografici. Vale a dire dei
giornalisti che seguono costantemente le
attività del papa in Vaticano e durante i suoi
viaggi in Italia o all'estero. Ogni papa, pur
nella continuità del magistero della Chiesa, ha
il suo stile. Irruento e imprevedibile quello di
Papa Wojtyla, rigoroso e intellettuale quello di
Papa Ratzinger, gioviale e umile quello fin qui
visto di Papa Bergoglio. Per raccontare
personalità così diverse il fotografo deve
utilizzare necessariamente linguaggi diversi. Ci
sono poi fattori contingenti che condizionano il
nostro lavoro in Vaticano. Ad esempio la
malattia di Giovanni Paolo II, negli ultimi
tempi della sua vita terrena, ci ha imposto il
rispetto della sua sofferenza»
Quali sono le caratteristiche che rendono
“grande” un fotogiornalista?
«Ci sono, a mio avviso, due componenti. Una è
quasi casuale. Dico quasi perchè la fortuna non
è mai totalmente casuale. Essere nel posto
giusto, al momento giusto, è qualcosa che non
accade mai per caso. Non parlo di quello che
oggi chiamiamo "citizen journalism", delle
immagini scattate per caso con gli smartphone.
Parlo delle immagini scattate da professionisti
come frutto di un lungo lavoro di organizzazione
e ricerca. Nessuno si metterebbe a scrivere un
articolo senza prima essersi informato sul
soggetto di cui parla, così dovrebbe fare anche
il fotogiornalista. Ma questo non basta. Bisogna
anche possedere il dono di saper raccontare. Di
cogliere l'aspetto epico della vita, anche e
soprattutto di quella della gente comune. Nel
mondo contemporaneo, sempre più incline alle
"scorciatoie" intellettuali, orientato più verso
l'efficienza che verso l'armonia, si sta
perdendo l'epos che circonda l'avventura umana.
Un grande fotogiornalista deve saper scovare le
storie degli uomini e saperle raccontare
attraverso la sua visione del mondo»
La chiave del tuo successo?
«Te lo dirò quando succederà. A parte le
battute, credo che il successo non sia altro che
il risultato dell'aver svolto bene il proprio
lavoro. In questo senso, qualsiasi successo dura
solo il tempo che passa tra un reportage e
l'altro. Lo spazio di un mattino? Per ogni nuova
storia che si cerca di raccontare bisogna
rimettersi in discussione. Puntare tutto sul
rosso o sul nero, ma non prima di aver studiato
tutti gli aspetti della scommessa. Il successo
poi si misura anche in base al grado di
soddisfazione che si produce nel raggiungere un
obiettivo. Quando con i miei collaboratori
riusciamo a illustrare una storia in modo
completo e informativo lo considero un successo.
Per me il successo è' un lavoro di squadra. Come
agenzia di stampa il nostro scopo primario è
quello di informare correttamente i nostri
lettori. In ogni caso il successo come fine è
una contraddizione in termini»
La fotografia ha tante regole. Quale più
raccomandi ai giovani aspiranti?
«Ce ne sono tante, molte note. Mi è sempre
piaciuto quello che diceva Robert Capa, lui sì
un grande fotogiornalista: " Se le tue
fotografie non sono buone vuol dire che non eri
sufficientemente vicino". Si può interpretare
anche metaforicamente. Bisogna eliminare la
distanza, fatta d'ignoranza, che ci separa
sempre dai nostri soggetti. Vorrei anche
sottolineare l'importanza dello sfondo. Un
elemento spesso trascurato dai giovani
aspiranti. A volte basta spostarsi di pochi
metri per mutare la prospettiva di uno scatto.
Quando scegliamo le immagini da trasmettere in
rete ci rendiamo conto che la vera differenza
tra le molte immagini scattate è fatta proprio
dallo sfondo e da come il soggetto si armonizza
con lo sfondo, che può anche diventare il vero
protagonista dell'immagine»
C’è successo senza audacia?
«No. Ma parlo dell'audacia intellettuale.
Bisogna sempre spingersi oltre i limiti del
conformismo intellettuale che ci nasconde la
"tragicità" dell'esistenza. Appunto l'epos.
Questo include anche gli aspetti tecnici della
fotografia. Bisogna sempre cercare punti di
vista nuovi e il progresso della tecnologia ci
facilita in questa ricerca»
Devi il tuo successo più al talento o alla
volontà?
«Sono due componenti complementari. Ma direi che
la volontà sia più indispensabile. Un grande
talento che non trova la forza per esprimersi
rimane sterile»
Tom Cruise e
Domenico Stinellis a un Festival di Venezia
Come vedi il futuro del fotogiornalismo. Sono
visibili altri cambiamenti drastici?
«E' un mondo in evoluzione rapida. La tecnologia
ha, e avrà, un ruolo fondamentale. Oggi non si
tratta più di far conoscere il mondo a un
pubblico ignaro, ma di mostrare gli aspetti
problematici che si annidano nelle pieghe
sociali, ambientali e politiche del nostro
pianeta. Non più mostrare quindi, ma svelare. Un
compito ambizioso, soprattutto nella contingenza
economica attuale che non lascia molto spazio
agli investimenti in progetti non immediatamente
remunerativi. Credo che la prossima tappa sarà
una più completa integrazione tra i tre formati
classici del giornalismo, testo,
radio/televisione, fotografia»
Anche per te, come per Voltaire, il lavoro è
gioia?
«Un grande giornalista, Luigi Barzini, diceva:
"Fare i giornalisti è difficile, ma è sempre
meglio che lavorare". Non conosco un solo
collega che non faccia questo lavoro per
passione in primo luogo»
Credi nella fortuna?
«Credo nella fortuna come attività dell'uomo.
Sallustio attribuisce al console Appio Claudio
Cieco la frase: "Faber est suae quisque fortunae".
Cioè l'uomo è artefice della propria fortuna.
Credo che nel lungo termine sia vero»
Qual è la cosa più bella e quella più brutta del
mestiere di fotografo?
«In realtà coincidono. Essere soli nel momento
in cui si sceglie come e cosa consegnare alla
storia delle immagini»
Con la diffusione dei cellulari dotati di
fotocamera, ogni individuo può fotografare un
avvenimento ancor prima che un giornalista ne
venga a conoscenza. Dati questi presupposti,
come può distinguersi il fotogiornalista dal
fotografo improvvisato?
«La diffusione delle macchine fotografiche
digitali compatte, e più recentemente degli
smartphone, ha favorito, come ho detto prima, la
nascita di quello che è stato chiamato "citizens'
journalism", amplificato dal fenomeno dei social
media. Questi contributi vengono inglobati nel
nostro servizio in casi eccezionali e dopo
infiniti controlli e verifiche. Tipicamente la
qualità di questi scatti è pessima sia
tecnicamente che dal punto di vista della
grammatica visuale. Tuttavia in certi casi
costituiscono l'unica documentazione disponibile
nell'immediato di fatti che si verificano
improvvisamente. La nostra missione di
"informare" il pubblico passa anche attraverso
l'uso di questi contributi, dopo averne
verificata l'attendibilità secondo i nostri
standard. Il lavoro del fotogiornalista è
affatto diverso. Infatti la differenza tra i due
casi è come quella che corre tra un graffito su
un muro e un articolo ben scritto. Il graffito
può anche sintetizzare un momento storico, ma
non riuscirà mai a spiegarlo»
Ti arrabbi facilmente?
«Si, ogni 20 o 30 secondi, ma quasi sempre con
me stesso»
Cosa fai quando non sei alle prese con le lenti,
luci e connessi?
«Nel poco tempo libero cerco di rilassarmi,
magari sulle spiagge abruzzesi d'estate»
Femminista?
«Sono cresciuto in una famiglia in cui è sempre
stato dato per scontato che uomini e donne
avessero gli stessi diritti e doveri. Mi madre
lavorava e portava i pantaloni (li porta
ancora). Certo il problema della violenza
materiale e morale sulle donne è un'altra cosa.
Si tratta di fatti criminali e come tali vanno
trattati. Esiste poi un problema "culturale"
generalizzato. Qui la strada è un po' più lunga.
Quaranta anni fa aveva senso scendere nelle
piazze, oggi il lavoro da fare è dall'interno
delle istituzioni»
Suprestizioso?
«No. Ma non sottovaluto gli effetti che la
superstizione ha sulla vita degli uomini»
Hai nostalgia dell’infanzia?
«Di quella passata moltissima, di quella futura
vedremo... »
Che c’è in te di abruzzese?
«Non sono molto forte, ma cerco di essere
gentile quando posso»
Io dico…”Il Mare”…Cosa rispondi?
«La mia piccola barca a vela. Purtroppo non ho
molto tempo libero da dedicarle. Il mare
rappresenta una componente importante nella mia
vita a cominciare dall'infanzia, trascorsa nei
mesi estivi sui litorali abruzzesi. Oggi mi
piace navigare a vela o scrutare i fondali
marini, a volte anche con la mia fotocamera»
Rifaresti tutto quello che hai fatto?
«Assolutamente si, anche questa intervista
(magari fra cento anni). Però pensandoci bene
abbiamo tutti qualcosa che preferiremmo aver
fatto diversamente. Vorrei cancellare tutte le
scelte fatte e dettate da un certo egoismo, ma
per fortuna non si può tornare indietro»
C’è qualcosa che vorresti fotografare ma ancora
si presenta l’occasione?
«La fine dell'odio e delle divisioni di ogni
genere che infiammano il nostro pianeta»
Chi è Domenico Stinellis?
«Sempre difficile parlare di se stessi. Si
rischia di dire poco o troppo, nella stessa
misura. Nel caso di un fotogiornalista poi si
dovrebbe lasciar parlare le immagini. Da qualche
anno mi occupo non solo di fotografare le
notizie, ma anche di organizzare e editare il
lavoro dei nostri fotografi in Italia. Questo
lavoro di supervisione mi impone quotidianamente
un confronto con la visione personale dei miei
collaboratori. Sono momenti di arricchimento
reciproco e il risultato e' sempre
entusiasmante. Un'altra fonte di arricchimento
per me e' stato il contatto con la cultura
giapponese. Timido all'inizio, quasi vent'anni
fa, senza riserve subito dopo essermi recato in
Giappone per lavoro nel 2002. Durante successivi
viaggi e permanenze nel paese ho imparato a
conoscere un popolo, fuori dagli stereotipi con
cui e' conosciuto dal grande pubblico. Ho
incontrato un popolo allegro, sincero, per il
quale armonia e lealtà sono alla base del vivere
comune. Nel corso di questi quasi venti anni di
conoscenza la mia visione della vita e' cambiata
molto. Una cosa, tra molte, credo di aver
imparato, le soluzioni facili non sono mai le
migliori. E' un luogo comune dirlo, ma in
Giappone è un fatto dell'esperienza quotidiana.
Purtroppo i meccanismi industriali
dell'occidente, che impongono quotidianamente
l'efficienza ad ogni costo, si sposano male con
quella filosofia basata sull'armonia come bene
prevalente». |