Carissimo Lino,
ti scrivo questa lettera aperta per timore che
emozioni, sentimenti e sensazioni possano
disperdersi via etere. Ti scrivo per farti
sapere che ti ho conosciuto a distanza in un
pomeriggio giallorosso dei primi anni ’60, in
occasione di un incontro di calcio del
Giulianova al Rubens Fadini. Avevo 12-13 anni e
nel clima concitato che precedeva l’inizio della
partita un tifoso, in curva sud, esclamò: “Ce
sta Manocchie, lu ggiurnaleste m’r’cane”. “C’è
Manocchia, il giornalista americano”. Riecheggia
ancora nitida nelle mie orecchie e nella mia
mente quella frase in civettuolo dialetto
giuliese.
Non si sono mai sbiaditi due flash di quella
occasione.
Il primo flash fu una immagine, la figura
filiforme ed elegante che identificava la sagoma
del “giornalista americano” nell’animato
capannello lontano, laggiù, nel piccolo piazzale
che immetteva all’abitazione di Giovannino De
Santis “il massaggiatore”, che sotto fungeva da
spogliatoi per squadre e arbitri, e al piano
superiore da postazione per lo speaker, ruolo
del quale tu sei stato antesignano.
Il secondo flash, fu una suggestione, il nome
del giornalista, Lino Manocchia, che sarebbe
rimasto dentro di me come archetipo del giuliese
all’estero, dell’emigrante di successo e famoso,
del quale negli anni a venire avrei seguito, con
emozione, i servizi di corrispondenza per la
Rai dall’America. E’ proprio vero: il mondo è
piccolo non è una frase fatta, ne’ è un
luogo comune l’evidenza che il futuro non
concede ipoteche nemmeno alla più fervida
immaginazione. Chi avrebbe mai detto, per
esempio, a quel ragazzino in curva sud che
alcuni decenni più tardi avrebbe conosciuto,
auspice l’amico e collega Walter De Berardinis,
il “giornalista americano” che nel corso della
sua lunga e brillante vicenda umana e
professionale ha intervistato cinque presidenti
degli Stati Uniti d’America, una miriade di
“stelle” di Hollywood e dello spettacolo, di
campioni dell’automobilismo, del pugilato, dello
star-system più invidiato e ambito del Pianeta?
Sì, proprio tu, Lino Manocchia, saresti
diventato la “Voce dall’America” per il mio
modesto giornale web
www.giulianovailbelvedere.it.
Proprio tu, il giornalista illustre e dal
vissuto brillante che in apertura di ogni
telefonata mi saluti addirittura con un
rispettoso ma esagerato “Direttò”; proprio tu,
che hai posto amichevolmente a mia disposizione
l’inesauribile cornucopia (per usare il
sostantivo a te più caro) di ricordi, di angoli
acuti, di angoli sportivi, di giuliesi nel
mondo, di interviste da New York parte dei quali
compone il libro che salutiamo oggi.
Mi permetto di aggiungere all’orgoglio di
ossequiosa colleganza con il Maestro/Mito,
l’autentico onore per l’empatia, farcita di
reciproca stima e disinibita franchezza nello
scambio di opinioni a volte contrastanti, che
sfocia nell’amicizia con te, Lino. Di sicuro,
la giuliesità è il filo di congiunzione più
solido di questo sentimento e di questo
rapporto. La giuliesità che io ti rispolvero con
battute in dialetto per te sempre comprensibili
e con evocazioni di personaggi, luoghi e
aneddoti che costellano la galassia della tua
nostalgia. La giuliesità che ti è anche
costantemente vicina, fatta persona in tua nuora
Teresa. La giuliesità che non ha bisogno,
tuttavia, di rispolverate o sollecitazioni, dal
momento che tu la conservi nel cuore con la
tenerezza di chi l’ama profondamente, e non è
stata mai ingiallita dalla lontananza e dalle
luci della ribalta.
La chiosa non può omettere due straordinarietà
che spiegano Lino Manocchia:
da una parte, la bramosia e l’entusiasmo nel
raccontare e raccontarti che ti rendono un Peter
Pan del mestiere, al punto da spingerti persino
ad apprendere l’uso dell’odiato computer;
dall’altra parte, l’umiltà che ti rende un
signore autentico.
Mi diverte quando ti schernisci ogni qualvolta
vedi ritardare la pubblicazione di un servizio:
“Guarda che rischio di non fare in tempo a
leggerlo, ho una certa età”, è il tuo modo
pretestuoso di farmi dare una mossa.
Tranquillo, Lino…Lassù qualcuno ti ama, per
parafrasare il titolo del celebre film di
Robert Wise, interpretato
magistralmente dal tuo fraterno amico Paul
Newman.
E sono certo che Paul è seduto in prima fila nel
parterre celeste e continua a seguire, tra gli
immortali, i tuoi scritti. Nel leggere questa
raccolta si emozionerà e con il suo
inconfondibile sogghigno enigmatico sussurrerà:
“Eh, sei sempre lo stesso, vecchio mio!”.
Un abbraccio dal tuo
Ludovico |