PESCARA,
12.10.2017 -
«Strani
movimenti di una grande imbarcazione a ridosso
del tripode che sovrasta il pozzo Ombrina Mare 2
ci hanno indotto a chiamare la Capitaneria di
Porto di Ortona per capire che cosa stesse
succedendo: il titolo ormai è scaduto ma la
Rockhopper, ultima società concessionaria
dell’area, aveva comunque ottenuto una dilazione
sino alla fine del 2017 per smontare la testa di
pozzo tuttora visibile in mare. Dalla
Capitaneria è arrivata la conferma: Ombrina se
ne va. Ed è, credeteci, una gioia grande e una
festa per tutti gli abruzzesi»:
così Fabrizia Arduini, responsabile energia del
WWF regionale, racconta l’addio definitivo al
progetto petrolifero che ha minacciato per anni
la costa e che, con lo smantellamento del
tripode tuttora presente in mare, sarà
finalmente definitivamente cancellato.
Quella di Ombrina è una lunga storia, che parte
poco più di 40 anni fa: era il marzo del 1987
quando la ELF Italia avviò nel sito un primo
cantiere con perforazione. L’esito fu deludente
per i petrolieri, tant’è che la cosa non ebbe
seguito. Il pozzo era stato denominato Ombrina
Mare 1.
Trascorsero gli anni, il Permesso di Ricerca
passò di mano in mano sino ad approdare alla
Medoil Gas, che nel 2008 decide di perforare un
secondo pozzo, Ombrina Mare 2. L’esito questa
volta venne ritenuto positivo, cosa che diede il
via a uno dei progetti petroliferi a mare più
controversi nella storia italiana.
L’ipotesi di un Centro Oli nelle campagne di
Ortona venne respinta da quella che è stata una
vera e propria indignazione popolare.
Altrettanta indignazione c’è stata per la
malsana idea di far stazionare una raffineria
galleggiante in mare a poche miglia dalla costa.
Ipotesi di intervento che cozzavano con l’Abruzzo
regione dei Parchi, riducendo la regione a
un vero e proprio distretto minerario a dispetto
della volontà e degli interessi anche economici
della stragrande maggioranza degli abitanti. Gli
abruzzesi, descritti dagli stessi petrolieri
come mansueti, proni di fronte al territorio
svenduto a interessi estranei, si dimostrarono
invece battaglieri e pronti a reagire come in
pochi altri territori in Italia. L’indignazione
fu talmente grande che travalicò i confini
regionali, trascinando anche altre aree del
Paese a schierarsi contro una visione dello
sviluppo, è proprio il caso di dirlo, “fossile”
fuori dal tempo e da ogni logica economica.
«Quel
che è successo in questi anni – conclude
Fabrizia Arduini - è ben noto: tra
provvedimenti di legge e amministrativi,
battaglie legali e manifestazioni pubbliche c’è
stato in buona sostanza un vero e proprio
braccio di ferro tra territori e quelli che si
definiscono abitualmente poteri forti, sino ad
arrivare al momento in cui, in questi giorni,
con la totale dismissione, si sta chiudendo
definitivamente anche sul piano fisico una delle
battaglie simbolo della lotta contro i
combustibili fossili. Non finisce qui,
purtroppo: sono ancora troppi le istanze, i
permessi di ricerca e le concessioni in terra e
in mare. Ci sarà ancora da lottare ma se
pensiamo alla situazione che si prospettava solo
pochi anni fa, l’Abruzzo può essere davvero
orgoglioso di se stesso».
Sempre in attesa che la costa teatina, la
porzione del territorio regionale sulla quale
insistono più istanze e titoli minerari, abbia
finalmente il Parco Nazionale che attende dal
2001. |