New York, Lunedì 16 Agosto
2010 -
E’
la vera leggenda della F1. Amici e rivali lo
battezzarono in cento modi: “Il Maestro”, “il
piu’ grande driver di F.1 della storia”, “il
modesto”, “il misterioso”, ma lui non se ne
dolse più di tanto. Con i suoi occhi blu,
ironici e guizzanti, naso aquilino, con la sua
vocina strana, appariva un personaggio
indecifrabile.
Stiamo parlando del pilota “votato” come il piu’
grande della F1 nella storia: Juan Manuel Fangio,
nato a Balcarce (Argentina)
il 24
giugno 1911,
da modesti genitori emigrati dall’Abruzzo. Sul
suo palmares ragguardevole, Juan ha scritto
pagine gloriose, stupende, forti, avvincenti.
Cinquantasette gare, ventiquattro vittorie
mondiali in 5 anni, 35 volte sul podio, a bordo
di una valanga di macchine che erano la sua
passione, la vita. Cominciò a fare amicizia con
le automobili all’età di 12 anni, lavando i
pezzi delle vecchie macchine, riparandole poi e
divenendo oltre che pilota, anche un esperto
meccanico. La sua prima esperienza, sulla pista
di terra battuta, la registrò all’eta’ di 23
anni, a bordo di una Ford/Taxi, stranamente
tramutata, che si spappolo’ durante la gara.
Quando lasciò il mondo che lo acclamava,
rispettava, idolatrava, scompariva con lui l’era
romantica della F1. Sarebbero stati necessari
ancora tanti anni prima che il record di Fangio
fosse statisticamente superato dai campioni
della F1 moderna, Michael Shumacher in testa.
Il record
Trascrivere
gli innumerevoli momenti della vita, il
voluminoso record di corse, vittorie, pole
position e piazzamenti vorrebbe dire riempire
pagine e pagine di nomi, casi ed episodi a non
finire.
La sua statura agonistica era indiscutibile.
Possedeva una visione della corsa decisamente
superiore, un equilibrio ed un’intelligenza
agonistica veramente singolari.
Ricordiamo un episodio: chi scrive, da poco
arrivato negli Usa dall’Italia, venne
inviato a Sebring, il mitico percorso graffiato
dalle vetture piu’ famose al mondo. Si correva
la 12 ore del 1957. Fangio, su Maserati 250
F,correva in coppia con il francese Jean Behra.
Prima delle prove libere, Juan fece inforcare al
cronista una bicicletta per seguirlo. Gli
chiesi: «Juan, ma sabato corri la 12 ore, non il
Giro d’Italia». Con il solito sorriso
maliziosetto, indefinibile, ignorò la mia
osservazione e proseguì "fotografando“
ogni minimo dettaglio del fondo stradale. Al
termine della gara Fangio e Behra tagliavano il
traguardo con oltre 10 minuti di vantaggio sulla
coppia seconda classificata.
Juan e Ferrari
Deciso,
testardo, purosangue abruzzese, esigeva sempre
la macchina ben“preparata”.
Un altro episodio: Marzo 1953. Si correva a
Monza. Alla vigilia, la sua vettura vibrava e
rendeva ultra nervoso il campione, il quale
ordinò al fido meccanico di
«fare qualcosa, non
importa come».
Al via la macchina
di Juan Manuel partì come un lampo, quella di
Bonetto, compagno di scuderia, scodinzolava.
Inutile dire che il povero meccanico durante la
notte aveva cambiato macchina e numero di corsa
dei due piloti.
Juan fu protagonista anche di un”colpo politico”
a Cuba, quando un gruppo di terroristi lo
”prelevò” pretendo che il pilota intercedesse
presso il governo argentino affinche’
rilasciasse una ventina di prigionieri politici.
Verso il crepuscolo della sua gloriosa carriera,
a Pebble Beach, in California, dove si
festeggiava l’anniversario dell’Alfa Romeo,
Fangio, tra un autografo e l’altro, con il
cronista volle parlare dell’Abruzzo,
dell’Italia.
Col suo dialetto, spesso impercettibile, mi
rivelò che in Argentina i suoi genitori ebbero
vita dura.
«Ma nuie simo fort, e nun ci facimo mena’ da
nisciune», disse in un improbabile
abruzzese. Fangio, come Tazio Nuvolari, è stato
a Giulianova. Avvenne nell'estate del 1988, come
ci ricorda Peppino Valeri, il trascinante
organizzatore di quell'irripetibile giornata.
L’oriundo abruzzese, 77enne, intervenne alla
premiazione di una esibizione di Formula Uno,
alla quale partecipò anche la Ferrari guidata da
Alboreto sul lungomare stracolmo di
appassionati.
”Giornata
di grande spettacolo e di forti emozioni. Ebbi
il privilegio di conoscere personalmente non
soltanto un mito delle corse, ma soprattutto un
uomo di straordinaria umiltà, felice come un
bambino di essere circondato dall’affetto e
dall’ammirazione dei tifosi e di avere una coppa
in ricordo della giornata, lui che di trofei ben
più importanti ne aveva vinti a josa”
ricorda il direttore-collega Ludovico Raimondi.
Una volta, alla domanda, come mai non ebbe
ottimi rapporti con Enzo Ferrari, si scusò
spiegando: «Ferrari e’ stato un grande uomo,
ma aveva i suoi difetti personali. Non amava
essere ribattuto sulle sue decisioni. Ma allo
scadere della mia carriera, siamo ridiventati
amici. Non mi sono risposato, ora le cose mi
appaiono sotto un’altra luce, e la mia mente
s’e’ schiarita. Se avessi potuto, avrei voluto
correre sempre con la Ferrari, anziche’ con la
Mercedes (con la quale vinse il suo secondo
titolo mondiale; n.d.r). Ma non credere, che
la mia carriera sia stata tutta di allori e
rose. Una volta, persi l’aereo da Belfast per
andare a Monza. Presi una macchina e a cento
all’ora, arrivai a Monza mezz’ora prima del via.
Puoi immaginare le mie condizioni fisiche.
Partimmo, ma dopo una ventina di giri, la
macchina prese il volo, rotolo’ due volte e
fini’ nel fossetto a fianco della pista. Mi
credettero morto, gli addetti, invece,
riscontrarono che mi ero rotto la noce del
collo, e per quell’anno il campionato andò in
fumo».
Calcolatore del
rischio
Juan non
faceva distinzioni. Per lui F.1, Carrera,
Endurance o la Mille Miglia si equivalevano.
Esperti, giornalisti e lo stesso Enzo Ferrari
restarono del parere che difficilmente avremmo
potuto riavere un asso capace di tanta
continuità nel successo.
Nei tracciati impegnativi, la sua guida
raggiungeva la perfezione, che lui stesso non
sapeva spiegare: «Ho imparato a calcolare il
rischio, quando indossavo l’uniforme militare, e
condensavo il mio pensiero durante le lunghe
tappe, come quella da Buenos Aires, attraverso
le Ande sino a Lima nel Peru’. Che vuoi, papa’ e
mamma’ mi hanno forgiato cosi’», e dopo un
attimo di pausa aggiungeva: «Ma dimmi un po’,
a te questo mio carattere non piace?».
Manuel corse la sua ultima gara nel G.P. di
Francia1958 e si piazzò quarto. Quando scese
dalla macchina, al suo fido meccanico disse
semplicemente: ”E’ finita”.
Juan Manuel Fangio ci lasciò all’età di 84 anni
(17 luglio1995) dopo aver trascorso i giorni del
suo tramonto a Barcarce (Buenos Aires).
Che strano questo grande, indimenticabile
campione del mondo! |