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I Ricordi di Lino Manocchia

Speciale da New York: 1943, NATALE  IN UN "LAGER TEDESCO"

 

Lino Manocchia: A Mostar, in Jugoslavia

 

 

Un Natale diverso e sempre eguale

 

 

Per chi lo ha trascorso tra i lager della Seconda Guerra Mondiale, Natale non è la stessa Festa degli Altri. Si assapora sì il gusto della ricorrenza muovendo le ali della libertà, ma la cicatrice, dentro, nel cuore e nella mente, rimane. Per questo, Lino Manocchia, che la triste esperienza l'ha vissuta e ad essa è sopravvissuto, ci tiene a rileggere quella pagina ingiallita, ma non strappata, del "suo"  Natale 1943. Una "memoria istruttiva" da aprire alle nuove generazioni. E noi, convinti assertori della convivenza civile, lo assecondiamo nel suo desiderio, riproponendo anche quest'anno il servizio già pubblicato nel Natale 2009, ma in bianco e nero, come si "vedeva" la vita allora. dir

di Lino Manocchia

Come concentrare in un articolo gli episodi salienti di tre anni, raccolti in un libricino, ingiallito dal tempo, scritto con la matita, episodi di vita vissuta agli inizi degli anni ’40, in un campo di concentramento tedesco? E’ la triste Odissea in Germania del cronista, oriundo di Giulianova (Teramo), che nel 1943  fu trasferito dal Collegio Aeronautico di Forlì, insieme al comandante la base, colonnello Moore, nell’ostico aeroporto di Mostar (Jugoslavia). 

New York, Mercoledì 22 Dicembre 2010 - La notte del 9 settembre 1943, con la cessazione della guerra dell’Italia, i soldati tedeschi, che erano stati nostri alleati, ci dichiararono nemici.  Prontamente richiusi nell’orrendo penitenziario di Mostar, che al solo pensiero, fa arrossire Sing Sing o Alcatraz, e quindi

caricati, con 60 persone in ciascun vagone merci, saldamente serrato, si attraversa Zenica, Sarajevo,Broad, Bad Orb, Frankfurt, Hunstadt, Grawensback, Husingen,Visbaden, e finalmente l’arrivo dove  vengono assegnati i piastrini di riconoscimento personale:  IX-B-11739. (la signa IX sta per Nono Lager).

Il primo giorno, allineati e guardati da soldati armati, circa 200 italiani - tra i quali Mario Nardi e Gino Benelli di Reggio Emilia - dopo un’ora di cammino arriviamo in un ospedale militare tedesco. Ordine: pulire le toilette e le fognature, guardati dalla “SS” e offesi dai soldati feriti, alla finestra. Si dorme su letti di legno ed un po’ di paglia fetida,mangiando patate e acqua con bietole. Con gradita sorpresa incontro il noto giornalista Giovanni Ansaldo col quale rimuginiamo episodi  di guerra, proponendoci di narrare ai posteri le nostre avventure. Sorvoliamo i ripetuti tremendi bombardamenti che le forze aeree anglo-americane compivano distruggendo, con spaventevole monotonia,  tutto ciò che c’era da distruggere.

Lino Manocchia ricordi di guerra: Prigionieri in procinto di trasferirsi in trenoIl 30 ottobre 1943, sempre a piedi, ci portano alla fabbrica VDM di Hermerstrass, che costruiva  le eliche per la Luftwaff, e mi accoppiano con un minuscolo russo (Vassilly) ma duro come un toro ed insieme controlliamo i mozzi. Mancava qualche giorni al primo

Natale in un campo di concentramento. Il caro amico Ugo Gazzola di Piacenza, dopo aver controllato una dozzina di mozzi per eleica, da solo (aveva pochi capelli ma era forte come un lottatore), disgraziatamente ne fece cadere uno. Subito gridarono al ”sabotage” e la “SS” picchiò duro il povero Ugo, che venne rinchiuso in un gabinetto allagato in attesa della “sentenza”. L’indomani provai a passargli, dallo spiraglio basso della porta, una fetta di pane. Venni “scoperto” e mi buscai tre o quattro ceffoni che me li risento ancora. Da quel giorno non vidi più il piacentino. Sempre controllati dai burberi “SS” fummo trasportati in un tunnel ferroviario, dove i tedeschi dovevano costruire pezzi per gli aerei da guerra. Bisognava creare una linea elettrica interna issando grossi cavi nelle pareti. Si lavorava di notte alla luce di una torcia con consequenti svariate martellate nelle mani. L’indomani lo stesso, e così il giorno dopo e il giorno dopo ancora. Freddo, umidità ed un gamellino di acqua, margarina e rape. Intanto a sera, quando al capitano tedesco saltava in mente di  fare il cow boy,  dopo una predica lagnosa,irritante, insulsa, e offensiva per  gli italiani, incitandoli a lavarsi col sapone-che non ci davano- lanciava il “lazo” sul capo di qualche prigioniero salutando l’azione con un ”hail Hitler.”

Lino Manocchia racconta Natale in guerra: Una ispezione di Himmler ad un lagerNATALE A GRAWENSBACK- Era il Natale 1943. Oltre 230 mila italiani si trovavano rinchiusi nei vari “lager”  recintati di filo spinato, con cani lupi che gironzolavano abbaiando.  Erano gli “italienish”,avevano commesso anche loro,   un “tradimento” verso i tedeschi, i quali quattro anni dopo, tornata

la calma, tramite l’International                    Himmler ispeziona un lager

Forced Labour Compensation Dipartiment (Ginevra) promettevano liquidazioni e sovvenzioni, turlupinando poveri esseri umani molti dei quali tornavano a casa senza conoscere il loro destino e quello della famiglia, se ancora viva, e senza un soldo di retribuzione. Un bel giorno la Germania , dopo quattro anni burocratici, con una laconica lettera dichiaro’ che“ gli stranieri  non avevano svolto “lavori forzati”, in quell’inferno dove  si sprecarono gli anni migliori dell’esistenza di migliaia di italiani, ”pertanto non potevano godere  delle retribuzioni.”

Un  clima tetro, fatto di pioggia, libeccio,  neve, anticipava la giornata che festeggia la nascita del Bambino Gesù. Nel campo  sussisteva un povero prete che cercava di assolvere i suoi compiti con scarso risultato. Intanto era giunto il conte  Domenico Trifoni, giuliese, amico di famiglia, colonnello dell’Esercito italiano giunto per reclutare volontari a combattere contro gli americani che si trovavano in Italia. Trifoni che era di stanza a Berlino dove si stampava un foglio propagandistico da distribuire nei vari campi, mi offrì di  entrare nella redazione del “giornale”,cosa  che rifiutai e che, coincidenza, un mese dopo l’incontro, una bomba distrusse tutto il centro propagandistico. Del conte Trifoni non ebbi più notizie.

E quando si intonò  “Tu scendi dalle stelle”, il  mulino a vento della memoria riaccese momenti cari del Natale, la letterina del babbo,la tavola imbandita, la messa di mezzanotte, la grotta del Presepio. E qualcuno pianse. Ne avremmo rivissuti altri due di Natale, in quell’inferno dove l’essere umano  era ignorato, vilipeso, sfregiato. Ricordo ossessionante di quella vita trascorsa tra reti spinate, cani ed aguzzini, simile ad un orologio senza lancette che segna il cammino della memoria diretta su un pensiero diverso. La festività natalizia era più sentita che mai, e gli italici Ferrero, Benelli, Nardi, De Lucia avevano allestito qualcosa di religioso. Un tremendo temporale flagellava la zona. Con altri compagni,uscimmo dalla fabbrica cercando rifugio in una cavernetta. Il calabrese Denni si riparò (“per non bagnarsi!”…) sotto una querce. Un fulmine lo prese in pieno. Fu la fine.  Dopo il tramonto, con la pioggia leggermente placata,  in fila,   ascoltavamo il solito idiosincratico capitano che con astiosa acredine sputava il suo misero sermone,divertendosi ad offenderci di essere italiani e cristiani, e invitandoci ad ascoltare un altro italiano… “tenore napoletano” disse, il quale avrebbe cantato una canzone natalizia nell’ufficio del teutonico comandante. Ma dopo circa mezz’ora di attesa dal gracchiante altoparlante sgorgò soltanto una flebile voce terrorizzata, quindi un gorgogliare di acqua ed una sonora risata. Sapemmo più tardi che il capitano aveva deciso di far fuori il povero napoletano” perchè non era bravo come Caruso”. In una parola lo aveva affogato in una vasca d’acqua fredda che sgorgava dalla arrugginita cannella che gocciava monotona sempre eguale a se stessa, per arrestarsi soltanto al mattino, ghiacciata, morta. A mezzanotte pur se lontani migliaia di chilometri dai cari, molte  baracche avevano una candela alla finestra, decorata dal ghiaccio. Intorno alla stufa a legna, al centro della camera, un gruppo di  prigionieri,arrostivano le bucce di patate,recitando il rosario insieme al prete.

Le vicissitudini del cronista, che seguirono, furono pressochè fortunate. Salvato da una cara fanciulla, Maria Wagner, italo-tedesca, di Frankfurt vissuta a lungo a Milano, il cronista dopo tediosa attesa riuscì a tornare a Giulianova, a cavallo di botti trasportate da un traballante furgone in viaggio verso il sud. La sua abitazione non esisteva più, distrutta dalle bombe, il fratello minore, Benny, ferito, il padre Francesco, colpito in fronte da una scheggia di bomba.  Come dimenticare questi abbreviati aneddoti che nonostante tutto consentono di dire  addio all’odio, benvenuto al futuro e  Buon Natale a tutti?

 

Lino Manocchia

Lino Manocchia è nato a Giulianova il 20 febbraio del 1921, primogenito del giornalista e scrittore, il Cav. Francesco Manocchia, e di Filomena Spadacci. Ha incontrato ed intervistato personaggi come: Frank Sinatra, Dean Martin, Perry Como, Rocky Marciano, Juan Manuel Fangio, Mario Andretti e tanti altri illustri. Durante il lavoro con Voice of America, Manocchia ha avuto modo di intervistare cinque Presidenti americani: Eisenhower, Kennedy, Johnson, Carter e Clinton.

 

 
 
 
 

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