PESCARA,
8.6.2016 –
Era scontato ed è
puntualmente accaduto: il Governo ha impugnato
di fronte alla Corte Costituzionale la legge
regionale 11 del 13 aprile scorso (pubblicata
con una inedita solerzia già il giorno dopo sul
BURA, il Bollettino ufficiale della Regione
Abruzzo), quella che consente lo svolgimento di
attività cinofile e cinotecniche all’interno dei
parchi naturali regionali.
Contro questa legge
si erano immediatamente espressi Federparchi, le
grandi associazioni naturalistiche italiane e
quelle locali con un unanime giudizio negativo
culminato con una lettera ufficiale al Governo,
presentata dai responsabili nazionali di
ENPA, LAC, LAV,
Legambiente, LIPU Birdlife e WWF, per chiedere
l’impugnazione di questa inconcepibile norma,
che è in verità arrivata sin dal 31 maggio
scorso. Solo in questi giorni, però, sono state
pubblicate sul web le motivazioni ufficiali
della impugnazione stessa.
Nella delibera del
Consiglio dei Ministri, tra l’altro, si afferma
che la norma pone
un serio pericolo per specie animali prioritarie
quali, ad esempio, il lupo (che è ubiquitario),
l’orso bruno marsicano (specie minacciata di
estinzione e presente nelle principali aree
protette regionali) ed il camoscio appenninico
(di recente reintrodotto all’interno del Parco
naturale regionale “Sirente-Velino”) violando
in tal modo l’articolo
117, comma 2, lettera s), della Costituzione,
che attribuisce alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato la materia «tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni
culturali», e l’articolo 117, comma 1, della
Costituzione, che impone al legislatore, anche
regionale, il rispetto dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali.
Scendendo in dettaglio la assurda legge varata
dal Consiglio regionale è in totale contrasto
con la direttiva 92/43/C EE relativa alla
conservazione degli habitat, che – ricorda il
Governo - al
fine di assicurare il mantenimento o il
ripristino degli habitat naturali e delle specie
di fauna e flora selvatiche di interesse
comunitario, obbliga gli Stati membri ad
istituire un regime di rigorosa tutela delle
specie animali di cui allegato IV lett. a) della
direttiva con il divieto, fra gli altri, di:
perturbare deliberatamente tali specie,
segnatamente durante il periodo di riproduzione,
di allevamento, di ibernazione e di migrazione;
nonché di deteriorare o distruggere i siti di
riproduzione o le aree di riposo.
Tra l’altro, come
ben sanno gli uffici regionali che i solerti
consiglieri proponenti della norma hanno
dimenticato di consultare, poiché
le attività cinofile e cinotecniche consentite
dalla norma potrebbero essere svolte all’interno
delle aree classificate come SIC, le stesse,
potendo incidere sullo stato di conservazione
dell'equilibrio ambientale, dovrebbero essere
approvate caso per caso solo a seguito di
adeguata Valutazione d’Incidenza.
La legge regionale
è inoltre in contrasto con la Convenzione di
Berna e persino con la normativa sulla caccia.
Il Consiglio dei Ministri sottolinea
infatti: Posto
che lo svolgimento di attività cinofile e
cinotecniche comprende l’attività di allevamento
e addestramento di cani per l’esercizio
dell’attività venatoria, riconducibile alla
materia della caccia (C. Cost., n. 350/1991), la
disciplina dell’attività cinofila deve essere
ricondotta in linea di principio nell’alveo di
quella della attività venatoria (sentenza
n. 193 del 2013). In questo ambito, spetta allo
Stato stabilire standard minimi e uniformi di
tutela della fauna, con regole che le regioni
possono modificare, nell’esercizio della loro
potestà legislativa in materia di caccia,
esclusivamente nella direzione dell’innalzamento
del livello di tutela. La
Regione, dunque, deve attenersi ai divieti
previsti dalla normativa quadro statale. Può
semmai renderli più stringenti – come dovrebbe
fare in ossequio ai propri slogan di “Regione
verde d’Europa” e di “Regione dei Parchi” – ma
non certo attenuarli né stravolgerli, come ha
tentato di fare con la legge 11 che la Corte
Costituzionale inevitabilmente casserà, a meno
che il Consiglio abruzzese non rinsavisca e la
abroghi evitando che si debba perdere tempo e
sciupare denaro pubblico per la colpevole
negligenza di chi ha proposto la norma e di chi
l’ha votata.
Le manifestazioni
cinofile –
si legge ancora nelle motivazioni della
impugnazione - possono
arrecare un consistente disturbo, determinare
catture o distruzione di nidi e creare altre
situazioni di danno e disagio alla fauna
selvatica (nel periodo di nidificazione e
dipendenza, durante il periodo di iperfagia e
letargia per l’Orso marsicano o lo spostamento
nelle aree di svernamento del Camoscio
appenninico). La presenza di cani liberi di
vagare privi di guinzaglio nelle aree protette,
spinge gli animali a spostarsi durante le fasi
del corteggiamento e della cova, causando
l’abbandono dei nidi e delle covate, esercitando
un impatto negativo sulla sopravvivenza dei
giovani limitando il successo riproduttivo.
«La
legge approvata dalla Regione – commenta il
presidente di Legambiente Abruzzo Giuseppe Di
Marco - rappresenta una vera collezione di
assurdità ed è in palese e totale contrasto
oltre che con una serie di norme internazionali
e nazionali anche con il buon senso».
«Preoccupa
che consiglieri regionali stipendiati da noi
tutti – aggiunge il delegato Abruzzo del WWF
Italia Luciano Di Tizio - possano sciupare il
loro tempo per proporre leggi che non hanno
fondamento alcuno, dannose per l’ambiente e per
tutti i cittadini che guardano al bene comune
prima che a piccoli interessi di pochi.
Preoccupa soprattutto il fatto che non siano
stati neppure consultati gli uffici regionali
del settore, che avrebbero potuto evitare questa
inutile brutta figura».
«Le
associazioni e Federparchi – conclude
Giuseppe Di Marco - avevano consigliato un
passo indietro. Peccato che il Consiglio
regionale almeno sino a oggi non ci abbia voluto
ascoltare».
Il testo completo
delle motivazioni della impugnazione è
reperibile a questo link:
http://www.affariregionali.it/banche-dati/dettaglioleggeregionale/?id=10729 |