ASCOLI
PICENO, 8.1.2013
-
Sarà inaugurata
Sabato 12 gennaio prossimo, alle ore 18.00, la
mostra “Gigino Falconi - Momenti pittorici”, che
si terrà presso il Centro d'Arte L'Idioma, in
Via delle Torri 23, Ascoli Piceno.
Nell'occasione sarà presentato il calendario
dedicato all'artista dalla Tipografia Tacconi di
Ascoli Piceno. La serata inaugurale sarà
accompagnata dalle preziose note musicali del
violinista Matteo Maria Mariani.
Con la mostra
Momenti pittorici, curata da Giuseppe Bacci
in collaborazione con la Fondazione Staurós
Italiana Onlus, la sede del Centro d'Arte
L'Idioma ospita una ventina di opere realizzate
tra il 1996 e il 2012 dal Maestro Gigino
Falconi, sulla cui pittura, raffinata e colta,
Carlo Chenis così ha scritto: “L’arte di
Gigino Falconi si consolida in forme temperate e
assolute, cagionando estasi nostalgiche,
romantici pensamenti, melanconie amorose. Quanto
in icona è elegante e seducente, così da indurre
all’epifania ontologica, sia nell’armonia
cosmica, sia negli stati esistenziali. Quanto in
icona diventa meta-figurazione carica di
ridondanze simboliche e di tensioni amorose,
così da produrre felicità meste, sia nella
rivisitazione onirica della realtà, sia
nell’ipostasi reale dell’immaginazione.
Si tratta di
pittura «metafisica» narrata con fascino
erotizzante. Risulta, però, distante dalle
presunte poetiche che contrassegnarono i
«metafisici» per antonomasia, quali de Chirico,
Savinio, Carrà, unitamente ad altri coevi ed
epigoni. Si tratta, infatti, di una metafisica
che si volge all’esistenziale sublimandolo, non
di una metafisica che si chiude nell’essenziale
assolutizzandolo. Falconi la illustra con un
paradiso contingente che si fa metafora
meta-contingente. Siffatta scenografia edenica
si presenta con paesaggi ammirabili e con amori
purificati. Tali visioni, oniricamente estatiche
e mollemente estetiche, riconducono ad
un’antropologia esistenzialista attraverso la
via dell’annuncio di una dilettevole presenza, e
non solo la denuncia di una tragica assenza.
L’umano chiede riscatto religioso nel suo cosmo
che si fa cifra divina, nel suo intimo che
acclara amore benevolente. Il velo di melanconia
riporta ai servaggi neoplatonici e alla
sofferenza personale, poiché la materia
intristisce lo spirito, la contingenza addolora
il quotidiano, la finitudine temporalizza
l’amore”.
Estratti dal calendario della mostra
“Non è un tema
d’occasione, questo scelto da Gigino Falconi:
nel cuore di ogni abruzzese respira la memoria
di D’Annunzio. Caso mai, il problema è vedere in
che modo l’occasione si sposa con il passato
interiore, con quello che l’artista si portava
dietro dalla nascita. Quasi si trattasse di
riprendere un discorso messo da parte tanto
tempo fa e alla fine dimenticato. Qui sta il
punto vero: non si può dimenticare, soprattutto
quando ciascuno dalla propria parte –
l’ispiratore e il traduttore
-
ha lavorato per le stesse intenzioni. Così dal
confronto non voluto ma imposto dalla più
profonda coscienza salta fuori una risposta che
non è mai illustrativa o riassuntiva, ma legata
a quanto c’era di più vero nell’ispirazione del
Falconi. Potremmo dire che si tratta di un
discorso doppio o meglio ancora di un confronto
sostenuto fra l’immaginazione di ieri e ormai
codificata e l’immaginazione dello spettatore
che è stato sollecitato verso questo tipo di
ricognizione”.
Carlo Bo
“Un erotismo freddo ma non distaccato individua
l’opera di Gigino Falconi tanto echeggia quella
di un manierista eccentrico o di un raffinato
del tardo Cinquecento. L’effetto è quasi sempre
quello di un relativo spaesamento rispetto al
soggetto raffigurato: in quale situazione ci
troviamo? Perché questo paesaggio inusitato,
perché questi corpi di adolescenti tesi in
abbraccio per impossibili o negate voluttà,
perché queste figure solitarie o aggruppate,
così pensose nel loro individuale e irredimibile
isolamento, quasi oggetti tra gli oggetti
anch’essi imprigionati nel loro muto essere,
secondo uno scenario che è teatrale, ed al tempo
stesso parodizza la vita reale? Il quadro
sceneggiato da Gigino Falconi si espone come
enigma nella sua elementare, analitica,
evidenza. Non risulta tuttavia nessun sentimento
di atonìa passionale né tantomeno nell’immagine
dipinta si accampa la procedura
intellettualistica della citazione colta fine a
se stessa”.
Duccio Trombadori
“In Falconi,
l’appagamento esausto, la dimenticanza di sé,
proprie di chi ancora sta uscendo dal sonno o
dall’atto d’amore, paiono presto negati da uno
spirito melanconico, talvolta tragico, sempre
romantico, che s’affida a un paesaggio che,
mentre rivela il suo splendore e il suo incanto,
inevitabilmente fa pensare al tempo in cui tutto
ciò sarà scomparso, inghiottito da una nemesi
misteriosa che sentiamo aleggiare. Emblematici
di questa malinconia inestirpabile, di questo
senso della fine, sono gli alberi di Falconi: i
tronchi e i rami sono spogli, come se fossimo
dentro un tardo autunno o un inverno perenni, e
spesso rimano con gli alberi delle navi; sovente
l’artista pare raffigurare piante con
un’architettura contorta e tormentata, come il
salice piangente con i suoi rami che si fanno
fili sottili, avvolgenti e inesorabilmente tesi
a terra – immagine intrisa di immaginario
romantico, di un senso di resa. Potremmo
ricorrere, per definire le opere di Falconi, a
una delle espressioni più felicemente poetiche
di Edgar Allan Poe: “Un sogno in un sogno”.
Sono, le sue figure, anche quando la loro carne
ci affascina e accende il nostro desiderio,
evanescenti, fantasmi evocati alla vita, ma che
presto torneranno a dissolversi. Sentiamo di
essere dentro un sogno, una rêverie estenuata o
nitidamente spettrale, o presi dentro un
ricordo, che, modificato dall’immaginazione, ha
abbandonato i territori della realtà per farsi
pura fantasia. C’è sempre, in Falconi, l’idea
simbolista di una fuga dalla realtà che non può
che collocarsi entro i territori della visione,
una trasfigurazione del corpo e della natura in
ciò che essi potrebbero essere in un tempo
altro, verso cui tendono ma che forse mai
conseguiranno. Spira, in Falconi, una fortissima
tensione al viaggio verso l’ignoto, un desiderio
d’altrove che si fa pittura, carne della
rappresentazione. Non cela, l’artista, questa
pulsione, ma pare volerla consegnare a simboli
espliciti”.
Sandro Parmiggiani
“Falconi seduce i
fruitori raccogliendone l’affanno esistenziale
che trova riscatto nella bellezza artistica e
poetica, spesso ricercando paesaggi e scenari
con fiumi e montagne rocciose non contaminate
dalla presenza umana. La natura è adottata quale
primo codice simbolico da comprendere e comporre
per inneggiare al Creatore. Essa va dunque colta
nella sua energia vitale e studiata nelle sue
cifre enigmatiche, al fine di indicare il
mistero insondabile che la sostiene. La sua
natura pittorica parla di Dio; ha sempre
accresciuto di sentimento religioso i suoi
dipinti. Lo spazio architettonico diviene
metafisico come la stessa luce; a volte si
percepisce persino il suono, la musica: ciò sta
ad indicarci che tutti gli elementi dell’opera
di Falconi si fondono in un’unica sonorità
perché pensati organicamente e coralmente.
Questa esigenza non impone un modello unico,
anzi, propone che ogni singolo dettaglio
raggiunga la sua unicità, armonicità, essenza in
analogia ad un’opera d’arte che per sua natura è
originaria e irripetibile. Quello di Falconi è
un genere di rappresentazione caratteristico dei
surrealisti che dipingevano scene del mondo
subconscio dei sogni. Gli oggetti della vita
quotidiana vengono raffigurati con fotografica
precisione, ma combinati in modo surreale. Di
fronte a paesaggi marini, montani o lacustri
l’artista colloca, lungo l’ambiguo confine tra
sensualità e purezza della forma, figure di
giovani donne perlopiù nude, che evocano arcani
misteri, operando un distacco dalla realtà
attraverso un gioco irreale di luci. L’intento è
provocare uno scollamento tra contenuto e
contenitore, tra oggetto e nome che lo designa,
tale da indurre chi guarda a ritrovare la vera
sostanza delle cose che, invece, nella ferialità
della vita non riusciamo a cogliere e quindi ci
sfugge”.
Giuseppe Bacci
La
mostra proseguirà fino al 9 febbraio 2013.
Calendario in mostra a cura della TIPOGRAFIA
TACCONI di Ascoli Piceno.
Biografia
Gigino
Falconi nasce a Giulianova (Teramo) e inizia a
dipingere a sedici anni, frequentando
contemporaneamente l’Istituto Tecnico per
ragionieri, dove si diploma nel 1952. Nel 1954
ottiene la maturità presso il Liceo Artistico di
Pescara. L’anno successivo, vincitore di
concorso per la Cattedra di Disegno, assume
l’incarico della docenza presso una scuola media
di Giulianova, attività che abbandona
definitivamente nel 1975, per dedicarsi
interamente alla pittura. Alla sua prima mostra
personale tenuta alla Galleria Il Polittico di
Teramo nel 1961, ne sono seguite numerosissime
sia in Italia che all’estero, presso accreditate
gallerie e prestigiose sedi pubbliche. Le sue
opere sono conservate in autorevoli collezioni
museali pubbliche e private. Il suo metodo di
lavoro si è sviluppato per cicli pittorici così
distribuiti nel corso degli anni:
1954-1956: esordisce con un universo figurativo
legato ai temi della propria terra, coniugato ai
canoni della coeva poetica informale.
1957-1962: esegue una serie di paesaggi che
risentono di una personalissima rivisitazione
del barocco.
1963-1965: realizza “Documenti”, primo
importante ciclo di opere, di grande dimensione,
eseguite a tecnica mista, composizioni di
pittura e grafica testuale. Negli stessi anni
l’artista porta avanti una ricerca sulla
surrealtà dello spazio costellato da fantasmi,
spesso con elementi suggeriti da letture di
Edgar Allan Poe.
1966-1968: “I Mostri”. Viene aiutato in questa
analisi da uno studio accurato che va dal
Rinascimento al Barocco con particolare
attenzione a Piero della Francesca, Caravaggio,
Ribera e Rembrandt.
1969-1975: elabora una serie di lavori
incentrati sulla surrealtà del presente e della
cronaca fotografica, con una figurazione più
circostanziata ed evidenza di straniamento.
1976-1979: recupera pienamente la pittura per
immagini, con soggetti ispirati all’angoscia
dell’esistenza. Di particolare risalto sono due
gruppi di quadri suggeriti dal Fascismo e dalla
vicenda dei coniugi americani Julius ed Ethel
Rosenberg.
1980-1985: lavora intensamente a opere
incentrate sulla poetica del mistero degli spazi
interni e sulle suggestioni spaesanti degli
specchi. È evidente il riferimento ad
ambientazioni di gusto Art Nouveau,
sempre collocate in un clima di silente
sospensione e di attesa.
1986-1988: realizza “Alcyone”, un importante
ciclo di dipinti sulla vita e le opere di
Gabriele d’Annunzio, eseguite in occasione del
cinquantesimo anniversario della morte del
Poeta.
1989-1994: dipinge una serie di “nudi” e
“concerti silenziosi”, ambientati in paesaggi
lacustri.
1995-1999: sviluppa in questi anni un intenso
ciclo di pitture di carattere sacro. Il primo
dipinto Annunciazione è del 1995. Lo realizza
per il VII centenario della Santa Casa di Loreto
nel cui museo l’opera viene poi esposta.
Successivamente per la chiesa di Sant’Andrea di
Pescara lavora per due anni a un trittico di
grandi dimensioni (cm 270 x 660),
commissionatogli dagli Oblati di Maria
Immacolata in occasione della santificazione del
loro fondatore Sant’Eugenio de Mazenod.
2000-2002: realizza il ciclo “Le Ossessioni”,
interamente dedicato al mistero dell’universo
femminile.
2002-2005: dipinge il ciclo “Il mito della
Fenice”.
2006-2009: si interessa sempre più alla natura
e, attratto dal suo misterioso fascino e dalla
sua mistica luce, dipinge un gruppo di quadri
rappresentanti paesaggi lacustri e marini.
2011-2012: realizza il ciclo “Ragazze per
sempre” ambientate nell’atmosfera romantica
parigina di fine Ottocento, dipingendo un ciclo
di opere sull’”amore mercenario”come tante scene
di un’unica grande pièce esistenziale,
una commedia tutta al femminile. Tale ciclo
viene presentato inoltre nella Besharat Galerie
di Barbizon Parigi e successivamente assieme ad
un cospicuo nucleo di opere allestisce la “suite
Falconi” (oltre 70 mq).
Orari Mostra:
feriali 18.00 − 20.00 festivi 10,30 – 12,00
|