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L'Angolo acuto

di Lino Manocchia

 

Paola Branciaroli: una pescarese vanto e speranza

dell’architettura italiana

    

 

 

 

Pescara, 12.5.2012 - Cortese, metaforica, allusiva, sfuggente, occhio ironico e guizzante, sorriso che emana energia.

Ecco Paola Branciaroli, 32 anni, nata a Pescara, Dottore di ricerca in Architettura e Urbanistica, figlia di Flavio, un mago dell’architettura.

Ha modi soavi e mai insinuanti, possiede quell’ottimismo di chi fa della vita un’opera d’arte.

Quando le chiedo delle sue fonti d’ispirazione, risponde:

“La vita e la fantasia.”

Cosa c’è in te di abruzzese?

Penso la disponibilità e la tenacia di fronte alle difficoltà. Conosci la definizione diventata ormai popolarissima di Abruzzo forte e gentile coniata dal giornalista e diplomatico Primo Levi per farne il titolo di un suo racconto di viaggio pubblicato nel 1882 con lo pseudonimo di Primo? 

Cita uno o due aneddoti occorsi durante il periodo di preparazione per l’esame.

Più che aneddoti vorrei citare una concomitanza di eventi capitati proprio in questo periodo che mi hanno complicato un po’ la vita: l’ultimo mese utile e decisivo per la chiusura del libro e la discussione finale è coinciso con la preparazione del Concorso Internazionale per la sistemazione di Piazza d’Armi all’Aquila con Ilias Fragkakis e validi studenti conosciuti negli anni del Laboratorio. Così la sera precedente l’esame, mentre tentavo di rivedere la presentazione, i ragazzi continuavano a disegnare i centootto “triangoli” del concorso. A mezzanotte, dopo aver anche festeggiato a sorpresa il compleanno di uno di loro con una tortina comprata last-minute e con spumante, Ilias, capogruppo del concorso, doveva partire per un lavoro improvviso a Cipro. Fortunatamente il giorno seguente l’esame è andato a buon fine e, dopo due nottate per chiudere le tavole del concorso, siamo riusciti nell’impresa.

Informazioni sugli anni di ricerca presso la Scuola Superiore G. d’Annunzio di Chieti-Pescara.

Il Dottorato di ricerca in Architettura e Urbanistica presso la G. d’Annunzio (XXIV ciclo) è durato tre anni (A.A. 2009-2011) durante i quali ho avuto la possibilità di confrontarmi con ricercatori e docenti anche di altre Università. L’esperienza più interessante è stata il soggiorno come Visiting scholar alla University of Florida di Gainesville, dove ho svolto la ricerca con l’apporto della Prof. ssa Martha Kohen della School of Architecture.

In che stadio si trova oggi l’Architettura per i nuovi studenti che purtroppo non hanno troppe vie di sfogo? Insomma, si deve emigrare per trovare un giusto posto di lavoro?

Gli architetti appena laureati emigrano perché in Italia non riescono a trovare un posto di lavoro “su misura” che consenta loro di mettere in campo le capacità acquisite. Si ritrovano così a fare lavoretti occasionali e poco gratificanti. Il problema reale è il gran numero di architetti che ogni anno esce dalle università italiane, soprattutto perché ormai la laurea non si nega a nessuno e si rischia così di vedersi “sorpassati” da architetti incompetenti, ma politicamente impegnati.

Ti ha aiutato molto la tua collaborazione allo studio di papà Flavio?

La collaborazione allo studio di papà mi ha aiutata a crescere professionalmente, non perdendo di vista i reali problemi della progettazione. Nelle università si affrontano per lo più progetti grandiosi, ma non realizzabili dal punto di vista economico.

Hai in mente qualche “progetto” di Architettura da realizzare in Abruzzo?

Per il momento sono interessata a presentare la ricerca alle Amministrazioni locali, sensibilizzandole verso l’applicazione di azioni di mitigazione del rischio sismico all’interno degli spazi collettivi, superando l’interpretazione tecnicista dell’analisi di vulnerabilità e orientando la valutazione di tali spazi verso una visione progettuale dell’organismo urbano in cui è integrato il tema della sicurezza. La scheda tecnico-progettuale proposta dovrà aiutare a configurare le strategie di assetto spaziale per rafforzare le peculiarità del vivere in collettività attenuando il disagio della perdita dei luoghi identitari.

Come descriveresti in linea di massima il libro che hai appena completato?

Il libro definisce una serie di raccomandazioni riguardanti un uso strategico degli spazi collettivi per trasformare le criticità del contesto in occasioni di prevenzione e recupero urbano, economico e sociale, sostenendo l’idea che è possibile ragionare sulla risoluzione dei problemi dell’emergenza in maniera propositiva.

Data la ciclicità del disastro, la rimodellazione degli spazi collettivi diverrà strumento di anticipazione della trasformazione da utilizzare in maniera sistemica per ridurre la vulnerabilità e contemporaneamente per introdurre miglioramenti legati all’architettura. In quest’ottica, spazi sicuri in emergenza diverranno luoghi di aggregazione, capaci di realizzare la struttura connettiva della morfologia, innescando un processo di rivitalizzazione che interpreterà criticamente i contesti ambientali e culturali. Viceversa la valorizzazione delle potenzialità del luogo, contribuendo a dare qualità funzionale alla città, creerà spazi di rappresentanza in grado di avviare e catalizzare la ricostruzione non solo degli edifici, ma anche della rete sociale ed economica.

Superstiziosa?

No. Anzi faccio del tutto per sfatare quelle che penso siano superstizioni.

Il piatto preferito?

Vado matta per il pesce in qualsiasi modo sia cucinato, ma il mio piatto preferito è seppie e piselli.

Lino Manocchia

 

 

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