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Radici dell'Artigianato Abruzzese

di Vito Giovannelli

   

Dal  cannizzo  di  Giulianova ai cannizzari della  costa  dei  trabocchi

 

Radici dell'Artigianato Abruzzese di Vito Giovannelli - Pescara 16.6.2012 (N. 2) - i cannizzi, imbarcazioni a fondo piatto simili alle zattere, venivano costruiti da gente di mare priva di sufficienti risorse economiche. La materia primaria occorrente per la loro realizzazione non si doveva acquistare. La natura la forniva gratis. Occorreva solo individuare  e tagliare il canneto giusto. Magari uno di quelli spontaneamente cresciuto tra le sponde del Feltrino e di rio Canale, in prossimità di San Vito Chietino, o un canneto germogliato negli acquitrini della foce del Vomano, nei pressi di Giulianova, o della foce del Saline, nei pressi di Silvi, paesi costieri che documentano la presenza  e l’impiego sottocosta del cannizzo.

Pescara, 16.6.2012 (Numero 2) - Da interviste ad anziani marinai abruzzesi e dalle puntuali notizie avute da Marino Frosciacchi (armatore), conoscitore della vita dei nostri marinai, ho appreso che i trabocchi, congegni idonei per “ pescare da fermi in posizione avanzata rispetto alle linea di costa” (cfr. Adelia Mancini, La strana macchina da pesca, in Terra e Gente, Lanciano, A. XXXI, n. 2, 2011) venivano costruiti da marinai che non disponevano di sufficiente danaro per acquistare imbarcazioni (paranze, lancette, lampare) idonee all’attività di pesca in alto mare.

Anche i cannizzi, imbarcazioni a fondo piatto simili alle zattere, venivano costruiti da gente di mare priva di sufficienti risorse economiche. La materia primaria occorrente per la loro realizzazione non si doveva acquistare. La natura la forniva gratis. Occorreva solo individuare  e tagliare il canneto giusto. Magari uno di quelli spontaneamente cresciuto tra le sponde del Feltrino e di rio Canale, in prossimità di San Vito Chietino, o un canneto germogliato negli acquitrini della foce del Vomano, nei pressi di Giulianova, o della foce del Saline, nei pressi di Silvi, paesi costieri che documentano la presenza  e l’impiego sottocosta del cannizzo.

Anche i pescatori di Silvi hanno usato il cannizzo per la pesca”vicino la spiaggia” (cfr. Lamberto De Carolis, Silvi storia folclore turismo, Edigrafital, 1970 ).

L’impiego del cannizzo, realizzato con materiali fragili e deperibili, era limitato alla navigazione nelle insenature  essendo rischioso avventurarsi in mare aperto.

Ai rematori di  cannizzi, però, era lasciato il vanto di aprire, disposti in doppia fila, le processioni a mare dei santi protettori (Marino Frosciacchi), ma, agli stessi non veniva consentito dagli organizzatori della festa e dalle autorità  portuali di allontanarsi dalla costa.

Conseguentemente, i cannizzari erano i primi a salutare le miracolose immagini sacre e a rientrare lungo la costa o attraccare alle palafitte dei trabocchi in attesa del rientro delle processioni con la paranza del  protettore o della regina del mare riccamente pavesata e assistere comodamente ai fuochi d’artificio.

Sapevo dalla letteratura che il cannizzo veniva usato per la collocazione delle nasse e per la pesca delle seppie con gli specchi (cfr. Ernesto Giammarco, Lessico Marinaresco, Venezia, 1964; Dizionario Abruzzese Molisano, Roma, 1968).

Dalle  ultime ricerche ho appreso che il cannizzo serviva anche per il trasporto di tavole, pali, tronchi,  stortame di legno, reti e cordame vario:  materiale occorrente per la costruzione delle palafitte che dovevano sostenere il peso del capanno del trabocco, nonché quello del relativo impalcato delle passerelle.

Far fluitare tavole, tronchi, cavi di acciaio, cordame e reti a nuoto  sarebbe stato grande dispendio di energie per i traboccanti.  Il cannizzo, allora, sopperiva a tanti sforzi e risultava idoneo e utile  anche per  queste costruzioni. Diventava, a tutti gli effetti,  mezzo di trasporto.

Notizie circostanziate sulle varie prestazioni del cannizzo lungo la costa dei trabocchi sono state documentate da Pietro Cupido (cfr. Trabocchi Traboccanti e Briganti, Edizioni Menabò, Ortona, 2003) e da Carlo Boromeo (cfr. La mortella e la mentuccia - storie di pesca e pescatori, Edizioni Menabo, 2012). Il Boromeo precisa anche il tempo in cui era opportuno effettuare il taglio delle canne e la loro lunghezza, che doveva essere  più di quattro metri.

Poiché il litorale della provincia di Chieti detiene il primato per numero di trabocchi rispetto a  tutta la linea di costa dell’Adriatico italiano, alla luce di queste  acquisizioni sono ora da annoverare, tra  la letteratura del folclore abruzzese oltre ai traboccanti anche i cannizzari, operatori capaci di trasformare materiali inerti in strutture di alta genialità manifatturiera.

  Vito Giovannelli
   
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Numero 1, Sabato 9 giugno 2012
Il calice di Cesacastina di Crognaleto
 

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