VASTO
(CH),
13.4.2014 -
Nell’ambito
del PREMIO VASTO D’ARTE CONTEMPORANEA, Sabato
12 aprile 2014, alle ore 17:30, nella magnifica
cornice delle Scuderie di Palazzo Aragona a
Vasto, si inaugurerà la Mostra ANTONIO DI
FABRIZIO & SILVIO MASTRODASCIO Le relazioni
possibili a cura di Giuseppe Bacci.
La mostra,
che rimarrà aperta fino al 25 maggio 2014, è
promossa dal Comune di Vasto e dal Comitato
Manifestazioni d’Arte e Cultura di Vasto,
presieduto da Roberto Bontempo sin dal 1959,
anno di fondazione dello storico Premio. Mostra
fortemente voluta per rendere omaggio agli
artisti abruzzesi Antonio Di Fabrizio e Silvio
Mastrodascio, entrambi legati alla tradizione
dell’arte figurativa italiana, ma con percorsi
diversificati: pittura e scultura sono universi
distinti dell’arte, ma non separati. La
bellezza, infatti, ha una sua intrinseca
comprensibilità, poiché è splendore di forma
sostanziale.
Antonio Di
Fabrizio, scomparso nell’ottobre 2013,
pluricitato ma mai “lodato” abbastanza, già nel
1972 è presente alla XIV edizione del Premio
Vasto con sette opere; nel tempo, poi, sono
seguite altre sue partecipazioni al Premio.
In mostra, in un percorso che si snoda nel
tempo, si potranno ammirare una cinquantina di
opere, da quelle più familiari, perché già
esposte nelle precedenti edizioni del Premio
Vasto ad altre, vere e proprie pietre miliari
della produzione artistica di Antonio Di
Fabrizio, per concludere con Adriatico,
tela del 2012, presumibilmente l’ultima sua
realizzazione pittorica.
Un percorso, il suo, che dagli esordi - inizi
anni Cinquanta - lo ha visto attraversare
diversi momenti artistici (Scuola romana, Pop
Art, Iperrealismo, Figurazione magica, Nuova
Figurazione), rimanendo, però, ancorato sempre
alla sua poetica cifra stilistica, che lo ha
caratterizzato nello scorrere del tempo e degli
eventi.
La sua opera
si collocò dagli anni Settanta in maniera
indipendente rispetto alla Scuola Romana e ai
Postcubisti, optando subito per le poetiche
iperrealistiche, fortemente sostenute da
quell’uso della fotografia che si andava sempre
più affermando come nuovo mezzo artistico per
“leggere” il mondo, per poi tornare alla
dolcezza intimista, tra gli anni Ottanta e
Novanta.
Renato
Barilli, docente di Storia dell’Arte
Contemporanea all’Università di Bologna, così
scrive nel catalogo dell’omaggio tributatogli
dalla sua città natale, Penne, nel 1992: “Nel
corso degli anni Sessanta, il nostro Di Fabrizio
squaderna sulla superficie le sue grazie e
dolcezze tonali, che si nutrono anche di motivi
decorativi, dati, per esempio, dalle righe degli
abiti femminili o, invece, dalle foglie, dalle
fronde dei temi vegetali, non si sa se sorpresi
direttamente in natura o se già ritrovati come
elementi ornamentali degli interni. Ma in fondo
i due codici si confondono tra di loro, dando
luogo ad un risultato unitario: l’artista ricama
le sue superfici, le copre di sottili arabeschi
intessuti a fior di pelle, come filigrane
delicate; e le figure di fanciulle o di donne
stentano a emergere da tanta dolcezza, divenendo
quasi prigioniere di quelle tappezzerie che le
avvolgono e le riportano ad una consistenza
espansa a schiacciata”.
L’altro
omaggio in mostra è dedicato a Silvio
Mastrodascio, figlio autentico di questa terra,
che entra a far parte della folta schiera di
artisti abruzzesi. Mastrodascio si inserisce nel
solco della ricca tradizione della scultura
italiana e si confronta con i grandi artisti del
passato, caratterizzandosi anche per i segni
evidenti delle sue origini. Le sue radici,
infatti, si impiantano nella più nobile
tradizione abruzzese e la sua arte trae forza ed
ispirazione dal fertile humus culturale della
nostra terra, che negli ultimi due secoli ha
espresso prestigiose figure di scultori e
pittori.
Un piacevole
ritorno nella sua terra d’Abruzzo quello di
Silvio Mastrodascio (nato a Cerqueto nel 1943 e
vive e lavora a Toronto, in Canada), che ha
visto la sua personale storia d’artista formarsi
artisticamente in Italia e maturare
professionalmente oltreoceano, in Canada.
Sono state
le condizioni contingenti dell’epoca che gli
hanno suggerito di farsi “emigrante”,
per portare
avanti la propria storia di dignità nel mondo.
Mastrodascio
ritorna volentieri in Abruzzo,
che per lui,
“artista lontano”, non è la terra ingrata che ha
dimenticato i propri figli, ma riscopre
l’ardimento di riconoscere i suoi figli lontani
e rendere omaggio alle ragioni del loro operato.
È così che la Città di Teramo, nel 2004,
gli commissiona l’opera La reincarnazione
dell’Universo, una grande scultura in bronzo
patinato collocata all’ingresso del centro
storico della città, con dodici figure rappresentate all’interno del globo terrestre, che si fanno sofferti
portavoce del proprio martirio, della propria
condizione di “esuli”.
Sempre a Teramo, lungo la
“passeggiata dei tigli”, sono collocati i suoi
busti bronzei dedicati a eminenti personaggi
abruzzesi, lungo un percorso che termina con il
Monumento ai Caduti di Venanzo Crocetti,
al quale certamente Mastrodascio ha
ammirato. Sempre
nel teramano, nel Comune di Montorio al Vomano,
gli vengono commissionate altre due opere: una
fontana bronzea ed una poderosa scultura
dedicata alla memoria di Padre D’Andrea.
Anche Vasto,
con la sua nutrita famiglia di estimatori
d’arte, offre l’omaggio a colui che ha saputo
essere modesto tra i modesti, a chi è riuscito
ad essere cittadino del mondo facendosi
concittadino degli artisti, a chi ha servito
l’arte e la bellezza senza asservirsene. Silvio
Mastrodascio ha conquistato autorevoli spazi
urbani e collezionisti, dispensando loro
sculture scarne e seducenti, muovendosi con
autorevolezza e piena autonomia nella
prestigiosa “Linea Italiana” della scultura
figurativa moderna, che ha raggiunto le massime
vette espressive con Medardo Rossi, Boccioni,
Martini, Marini, Manzù, Crocetti e tanti altri
maestri del Novecento.
Lo storico
d’arte Maurizio Calvesi scrive in proposito
presentandolo: “Se parliamo di scultura,
occorre tenere presente che ancora oggi,
superata la soglia del Duemila, la tendenza più
viva e vitale in questo settore della creatività
artistica è quella che potremmo definire
genericamente come “figurazione”: ovvero, un
linguaggio ancorato alla rappresentazione del
corpo umano, immagini e figure che attingono
alle radici della tradizione”. |