Giulianova sotto le bombe degli aerei americani
guidati dai canadesi
L'attuale piazza dietro al Comune dove si
verificarono i bombardamenti più intensi. Nella
prossima toponamastica verrà intitolata in
ricordo di quel triste evento
di Benny Manocchia
Usa, 26 Febbraio 2011
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Giulianova era stanca. Debilitata. I nazisti si
muovevano come fossero padroni di casa. I
fascisti sempre piu' odiati dai comunisti.
Questi ultimi sempre piu' convinti
di rappresentare la "salvezza del mondo". Si
aspettava con ansia l'arrivo degli "alleati" dal
Sud. Mio padre ci porto' in campagna, lontano
dalla guerra, dove potevamo mangiare uova
fresche (pensate!) e magari anche maccheroni
alla chitarra. Avevo nove anni ed ero sicuro che
tutto sarebbe finito presto. Poi qualcuno disse
a mio padre che si poteva tornare in paese, che
nessuno avrebbe colpito il "centro". Cosi'
tornammo a casa. Ma le incursioni invece di
diminuire si facevano sempre piu' serrate.
Mio padre fece fabbricare una specie di muretto
proprio addosso alla finestra del bagno, in
cantina: non si sa mai, qualche scheggia
pazza... Quando si sentiva la sirena scendevamo
tutti giu' per sentirci al sicuro.
Il 29 febbraio del 1944 il Signore decise che
Giulianova sarebbe entrata nel librone dei
"ricordi amari".
Avevamo appena finito di fare pranzo, c'era sole
e non faceva freddo. Infatti indossavo
pantaloncini corti e zoccoli di legno. Mi
accorsi subito che qualcosa non andava... A
cento metri dal portone di casa mia c'era una
chiesa e proprio a fianco di quella chiesa vidi
uno o due soldati tedeschi armati di
mitragliatrici. Oddio, si vedevano spesso scene
del genere. Ma quella volta non mi riusciva di
respirare, come fosse scesa una cappa di piombo
sul mio capo. Dal Sud arrivarono due o tre
aerei,quelli con la doppia fusoliera.
Dall'orizzonte cominciarono a spostarsi verso
Giulianova, fecero un ampio giro dietro di noi e
poi, di colpo, si buttarono come
falchi
impazziti sul nostro paese. I due tedeschi
cominciarono a sparare alla dannata. Io non ero
in casa, mio fratello Omero era scappato verso
un rifugio. Mio padre mi chiamo' con forza e mia
madre, chissa' perche', si mise a piangere. Era
la prima volta che piangeva durante una
incursione. Corsi dentro e vidi che nel portone
del palazzo c'era diversa gente del vicinato. In
quei momenti nessuno badava alle presentazioni.
Si cercava rifugio e basta. Mio padre prese la
mia mano sinistra con la sua destra. Era fredda,
nervosa. Si avvicino' con un incredibile sibilo
la bomba, anzi le bombe. Pensai: proprio come
nei film... Mentre perdevo conoscenza, avvertii
che la stretta di mano del mio babbo si era
allentata. Poi tutto buio. Un buio mai
registrato prima e mai piu' avvertito negli
anni. Non mi riusciva di aprire la bocca, piena
di calcinacci. Non mi riusciva di aprire gli
occhi, eppure volevo vedere, volevo parlare.
Strana sensazione: come galleggiare in un mare
di aria calda.
Di colpo sentii che qualcuno cercava di tirare
fuori il mio corpo dalle macerie. Era mio
fratello Franco. Urlava: Benito, babbo e' morto!
Piu' di una volta. E ogni volta per me era come
se qualcuno colpisse con violenza il mio basso
ventre. Fino a oggi ho sempre nelle mie orecchie
e nel mio cervello quelle parole.
Poi sentii anche la voce di mia madre che
implorava: "Fai piano, gli rompi il
braccino...".
Capii che mio fratello Franco mi aveva preso in
braccio e si muoveva. Capii che respirava con
affanno. Era mio desiderio di parlargli ma non
ci riuscivo. Perdevo conoscenza e poi mi
riprendevo. Successe piu' di una volta. A un
certo punto sentii una voce di un uomo:"Lascialo
a me, ci penso io...".Ero completamente nudo per
via dello spostamento d'aria e quel signore
cerco' di coprirmi con la sua giacca, credo. Mi
stava portando all'ospedale.
Due,tre volte si fermo' perche' alcune donne
volevano sapere"chi e?". Una disse:"O povero
bambino".Quel signore era il padre di Gianni
Albani,mio compagno di scuola. Ho sempre cercato
di esternargli la mia riconoscenza,ma lui e'
stato sempre schivo. Un uomo che non
dimentichero' mai.
All'ospedale mi diedero schiaffetti per cercare
di farmi parlare,poi capirono che la mia bocca
era piena di polvere
e cosi' pulirono soltanto gli occhi. Ero sempre
in uno stato di dormiveglia, pero' capii che un
vecchio camion stava portando me ed altri
dall'ospedale di Giulianova verso Mosciano
Sant'Angelo, dove in gran fretta avevano
cercato di allestire un ospedale nella scuola
elementare di quel paese.
Ci restai dal 29 febbraio al 10 maggio,una data
che ricordo perche' e' il mio compleanno. Da
Mosciano tornai a Giulianova sul carretto di una
brava persona della quale purtroppo non ricordo
il nome. Ricordo soltanto che suo figlio piu'
tardi gioco' nella squadra giuliese.
Nessuno mi aveva ancora detto che mio padre era
morto nel bombardamento. Ma le parole di mio
fratello Franco mi rimbombavano nella testa ogni
giorno e sapevo che il mio babbo non c'era piu'.
Piu' tardi seppi che la cosa procuro' molto
piacere a chi odiava i fascisti. Ma questo
comportamento non interessava soltanto i
giuliesi. In Italia, si sa, per la stupida
politica si riesce perfino ad ammazzare.
Benny Manocchia |