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I ricordi di www.giulianovailbelvedere.it

Il bombardamento del 29 febbraio 1944

Benny Manocchia rivive la giornata più tragica della storia moderna di Giulianova e rivela un particolare: "Un mio amico che lavora al Pentagono mi ha detto che l'operazione=Giulianova del 29 febbraio 1944  (h 12.45) registrata come attack # 143, venne condotta da piloti canadesi. Bella soddisfazione del cavolo!"

 

 

Giulianova sotto le bombe degli aerei americani guidati dai canadesi

 

L'attuale piazza dietro al Comune dove si verificarono i bombardamenti più intensi. Nella prossima toponamastica verrà intitolata in ricordo di quel triste evento

 

 

di Benny Manocchia

 

Usa, 26 Febbraio 2011 - Giulianova era stanca. Debilitata. I nazisti si muovevano come fossero padroni di casa. I fascisti sempre piu' odiati dai comunisti. Questi ultimi sempre piu' convinti di rappresentare la "salvezza del mondo". Si aspettava con ansia l'arrivo degli "alleati" dal Sud. Mio padre ci porto' in campagna, lontano dalla guerra, dove potevamo mangiare uova fresche (pensate!) e magari anche maccheroni alla chitarra. Avevo nove anni ed ero sicuro che tutto sarebbe finito presto. Poi qualcuno disse a mio padre che si poteva tornare in paese, che nessuno avrebbe colpito il "centro". Cosi' tornammo a casa. Ma le incursioni invece di diminuire si facevano sempre piu' serrate.

Mio padre fece fabbricare una specie di muretto proprio addosso alla finestra del bagno, in cantina: non si sa mai, qualche scheggia pazza... Quando si sentiva la sirena scendevamo tutti giu' per sentirci al sicuro.

Il 29 febbraio del 1944 il Signore decise che Giulianova sarebbe entrata  nel librone dei "ricordi amari".

Avevamo appena finito di fare pranzo, c'era sole e non faceva freddo. Infatti indossavo pantaloncini corti e zoccoli di legno. Mi accorsi subito che qualcosa non andava... A cento metri dal portone di casa mia c'era una chiesa e proprio a fianco di quella chiesa vidi uno o due soldati tedeschi armati di mitragliatrici. Oddio, si vedevano spesso scene del genere. Ma quella volta non mi riusciva di respirare, come fosse scesa una cappa di piombo sul mio capo. Dal Sud arrivarono due o tre aerei,quelli con la doppia fusoliera. Dall'orizzonte cominciarono a spostarsi verso Giulianova, fecero un ampio giro dietro di noi e poi, di colpo, si buttarono come falchi impazziti sul nostro paese. I due tedeschi cominciarono a sparare alla dannata. Io non ero in casa, mio fratello Omero era scappato verso un rifugio. Mio padre mi chiamo' con forza e mia madre, chissa' perche', si mise a piangere. Era la prima volta che piangeva durante una incursione. Corsi dentro e vidi che nel portone del palazzo c'era diversa gente del vicinato. In quei momenti nessuno badava alle presentazioni. Si cercava rifugio e basta. Mio padre  prese la mia mano sinistra con la sua destra. Era fredda, nervosa. Si avvicino'  con un incredibile sibilo la bomba, anzi le bombe. Pensai: proprio come nei film... Mentre perdevo conoscenza, avvertii che la stretta di mano del mio babbo si era allentata. Poi tutto buio. Un buio mai registrato prima e mai piu' avvertito negli anni. Non mi riusciva di aprire la bocca, piena di calcinacci. Non mi riusciva di aprire gli occhi, eppure volevo vedere, volevo parlare. Strana sensazione: come galleggiare in un mare di aria calda.

Di colpo sentii che qualcuno cercava di tirare fuori il mio corpo dalle macerie. Era mio fratello Franco. Urlava: Benito, babbo e' morto!  Piu' di una volta. E ogni volta per me era come se qualcuno colpisse con violenza il mio basso ventre. Fino a oggi ho sempre nelle mie orecchie e nel mio cervello quelle parole.

Poi sentii anche la voce di mia madre che implorava: "Fai piano, gli rompi il braccino...".

Capii che mio fratello Franco mi aveva preso in braccio e si muoveva. Capii che respirava con affanno. Era mio desiderio di parlargli ma non ci riuscivo. Perdevo conoscenza e poi mi riprendevo. Successe piu' di una volta. A un certo punto sentii una voce di un uomo:"Lascialo a me, ci penso io...".Ero completamente nudo per via dello spostamento d'aria e quel signore cerco' di coprirmi con la sua giacca, credo. Mi stava portando all'ospedale.

Due,tre volte si fermo' perche' alcune donne volevano sapere"chi e?". Una disse:"O povero bambino".Quel signore era il padre di Gianni Albani,mio compagno di scuola. Ho sempre cercato di esternargli la mia riconoscenza,ma lui e' stato sempre schivo. Un uomo che non dimentichero'  mai.

All'ospedale mi diedero schiaffetti per cercare di farmi parlare,poi capirono che la mia bocca era piena di polvere

e cosi'  pulirono soltanto gli occhi. Ero sempre in uno stato di dormiveglia, pero' capii che un vecchio camion stava portando me ed altri dall'ospedale di Giulianova verso Mosciano Sant'Angelo, dove in gran fretta avevano 

cercato di allestire un ospedale nella scuola elementare di quel paese.

Ci restai dal 29 febbraio al 10 maggio,una data che ricordo perche' e' il mio compleanno. Da Mosciano tornai a Giulianova sul carretto di una brava persona della quale purtroppo non ricordo il nome. Ricordo soltanto che suo figlio piu' tardi gioco' nella squadra giuliese.

Nessuno mi aveva ancora detto che mio padre era morto nel bombardamento. Ma le parole di mio fratello Franco mi rimbombavano nella testa ogni giorno e sapevo che il mio babbo non c'era piu'.

Piu' tardi seppi che la cosa procuro' molto piacere a chi odiava i fascisti. Ma questo comportamento non interessava soltanto i giuliesi. In Italia, si sa, per la stupida politica si riesce perfino ad ammazzare.

 

Benny Manocchia 

Benito “Benny” Manocchia è nato a Giulianova e, come suo fratello maggiore Lino, si trasferì negli USA nel 1955 da dove cominciò a collaborare con alcuni giornali italiani. Firmò un contratto con la Rusconi Editore, casa editrice alla quale è rimasto legato per quasi 30 anni, girando mezzo mondo per servizio. Ha scritto “un paio di libri che nessuno ha letto”, si schernisce. Sogna spesso il pesce fritto di Giulianova, le lunghe nuotate da un molo all'altro, le traversate di migliaia di...metri con il sandolino e gli amici che ha lasciato a Giglie.

 

Foto nel testo: Benny Manocchia con Robert Redford qualche anno fa
 
 
 

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