Indianapolis, altri 100 di questi
giorni
di Lino Manocchia
New York, Martedì 24 Maggio 2011 - Con
cento anni sulle spalle, record, gare,
incidenti, piloti e spettatori, il Colosseo
d’acciaio celebra il suo compleanno offrendo, il
29 maggio, la 95ª
mitica 500 miglia di Indianapolis, la porta del
granaio americano, il cuore pulsante dello stato
dell’Indiana, un tempo piccola cittadina
popolata da 400 mila persone. La gente di
Indianapolis e’ affabile e rispettosa,
consapevole di vivere in una citta’ che e’
l’ombelico del mondo delle corse
automobilistiche. Questo grazie proprio al
Colosseo in armature d’acciaio nato nel 1911.
Indianapolis e’ la Woodstock dei motori, la
quintessenza di uno stile di vita che si
identifica con gli Stati Uniti, un nuovo evento
sportivo capace di dare reputazione alla corsa
di “open wheel”, divenuta evento
internazionale, come giustamente afferma Fred
Nation Direttore delle comunicazioni. Oggi il
circuito di Indy e’ uno dei piu’ moderni del
mondo, ma il cronista lo ricorda ancora quando
l’asfalto non era cosi’ levigato, quando al
posto dell’attuale torre di controllo c’era
quella che chiamavamo Pagoda e che noi
radiocronisti e cronisti di tutto il mondo
assalivamo tre giorni all’anno. Consentitemi
qualche aneddoto.
Indianapolis e’ stata sempre la fata morgana di
patron e piloti. Frank Arciero di Montecassino
ha avuto costantemente un debole per i piloti
italiani. Ricordiamo quando ingaggio’ Fabrizio
Barbazza, di Monza, col quale proprio a
Indianapolis conquisto’ un terzo posto. Anche
il grande Nino Farina, campione di F.1, nel 1950
tento’, senza successo, con una Ferrari
ma a
causa di guasti meccanici non pote’ completare
le prove di qualifica.
Farina torno’ a Indy ma rimase coinvolto con un
incidente che costo’ la vita al giovane Andrew.
Farina ne usci’ illeso. Anche Clay Regazzoni,
nel 1977, provo’ l’avventura di Indianapolis,
con la macchina gestita da Teddy Yip, singolare
personaggio di Hong Kong. Regazzoni ando’ a
sbattere con violenza contro il muro. Conobbi
Teddy Yip a Watkins Glen durante una gara di F.
1. Trasmettevo per la Rai (radio) e nella sala
stampa l’incaricato aveva sistemato sette
telefoni (a muro). Immaginarsi la confusione!
In Italia la mia voce sarebbe dovuta arrivare
“pulita” senza le interferenze dei colleghi.
Pensai cosi’ di rinchiudermi in bagno che era
situato vicino all’ultimo telefono. Alla fine
il collega in Italia, non avvertendomi che ero
ancora in linea, mi chiese da dove stavo
trasmettendo. Descrissi la cabina e per scherzo
tirai lo sciacquone…Inutile dire che tutto
passo’ in diretta.
Qualche settimana dopo mi giunse un biglietto,
vergato col solito inchiostro viola. Enzo
Ferrari mi avvisava che: “ La proporro’
senz’altro per la nomina di “Cavaliere dello
sciacquone”. Congratulazioni per il suo atto di
genio": Ferrari.
LA PRIMA VOLTA A INDY
Il mio sogno di vedere Indianapolis si avvero’
nel 1956 quando ebbi la possibilita’ di
seguire, da cronista, la prima delle quaranta
500 Miglia alle quali ho assistito. Ero
l’inviato radiofonico della Voice of America
che trasmetteva per la RAI. Sull’aereo che mi
portava a Indianapolis conobbi il famoso
radiocronista americano Bill Stern il quale mi
chiese se potevo prestargli il mio registratore
magnetico, tecnicamente migliore di quello in
possesso della emittente radio ABC. Giunti a
Indy, Stern mi presento’ Tony Hulman, creatore e
padrone dello speedway, al quale disse che "ero
un suo grande amico". Hulman ci credette e mi
consegno’ un magnifico Press Pass, e la chiave
di un suo appartamento che non usava quando
c’erano le corse. Cosi’ trascorsi il week end al
fianco del grande Stern.
Sono tanti gli aneddoti e situazioni
susseguitesi durante la mia vita giornalistica
che richiederebbe tanta carta ed inchiostro.
Vorrei menzionarvi uno dei momenti piu’
emozionanti dei miei pellegrinaggi a
Indianapolis. Era la vigilia della 500 miglia
del 1979. Il proprietario di una macchina (Parnelli
Jones) porto’ nella capitale della velocita’
la vettura con la quale Mario Andretti aveva
stracciato il record del Texas Speedway.
Parnelli regalo’ a qualche giornalista la grande
possibilita’ di provare la sua monoposto.
Effettuai quattro giri del catino alla media di
204,190 km. Ricordo ancora che le gambe mi
tremavano per la paura e l’emozione. Oggi
ripensando a quei momenti mi chiedo: «Ma allora
mia madre aveva ragione: sono proprio un
incosciente!?»
MARIO
ANDRETTI
lo incontrai per la prima volta sulla pista nel
New Jersey di proprieta’ di Roger Penske, nel
1964, ed in fretta divenimmo amici
(nella foto Mario e Lino insieme).
Tanto che per primo ebbi la possibilita’ di
entrare nella sua nuova villa di Nazareth,
donatagli dalla Firestone. Alla gara c’era anche
Jim Clark. Lo scozzese si ritiro’ per la
rottura del motore e quando gli chiedemmo un
parere su Andretti, Clark rispose: «Mario e’ un
grande piedone».
Cosi’ nacque il soprannome di “Andretti
Piedone”, appunto, che lo avrebbe accompagnto
per tutti i successivi trent’anni di carriera.
Il momento di maggior gioia per Andretti fu nel
1969 quando la sua STP Brower Ford turbo di Andy
Granatelli vinse la sua prima 500 miglia di
Indianapolis. Mario era ed e’ rimasto il “piu’
grande” nonostante il rivale, A.J.Foyt, texano
(foto sotto),
abbia vinto quattro 500 miglia ma non e’
riuscito a sfondare la F.1 che Mario, al
contrario, conquisto’ nel 1978. In una parola,
Mario ha vinto tutto quello che c’era vincere in
diverse categorie. Ha corso 900 gare,
vincendone 112 e segnando 110
pole position.
ANDRETTI-FOYT
Due
nomi, due glorie, esempio fulgido di coraggio,
tenacia, decisione. Simbolo che tutt’ora rende
sempre piu’ prestigiosa la categoria la quale
continua ad attrarre l’interesse del mondo
sportivo.
L’oriundo di Montona (Istria), oggi si fregia
del titolo di Commendatore - che soltanto il
grande Ferrari possedeva - e cosi' definisce,
nel suo libro “Piloti che gente”, “Coraggioso,
generoso, serio professionista. Al suo nome sono
legate alcune delle piu’ belle vittorie
Ferrari”.
E raggiunte le sue 65 primavere “Piedone”
veniva dichiarato ad unanimita’ dalla stampa:
“Pilota del secolo ed il piu’ grande tra i
grandi”.
Ancora una volta faranno da cornice con la loro
presenza Fittipaldi, Mears, Unser, Rutherford,
Sneva, Michael Andretti - figlio di Mario- assi
che difficilmente verranno eguagliati. Molti
sono tra noi, altri sono andati a correre in un
altro pianeta, ma Indy non muore, ben guardata
dalla Fata Morgana, con la bandierina a
scacchi, ed in mano oltre un milione e mezzo di
dollari che i 33 concorrenti si divideranno
e il colossale trofeo d’argento Warner sulla
quale sono incisi i volti dei vincitori della
corsa.
Questa e’ Indy, la glamour, avvincente, mistica
"brickyard", un carnevale liberatorio di
un’America Midwestern, la Gerusalemme
dell’auto con i suoi “pellegrini” che si
scatenano una volta l'anno.
Lino Manocchia /ssnphoto.com |