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I ricordi di Lino Manocchia

www.giulianovailbelvedere.it alla scoperta dell'America

Speciale Automobilismo: Ricordi legati ad una corsa che non ha eguali

Ricorrono 100 anni dalla prima gara, interrotta soltanto per la guerra. La 95ª edizione di domenica 29 maggio torna a diffondere nella Terra la passione per lo sport automobilistico e ammirazione senza pari

 

Indianapoli: Con cento anni sulle spalle, record, gare, incidenti, piloti e spettatori, il Colosseo d’acciaio celebra il suo compleanno offrendo, il 29 maggio, la 95ª  mitica  500 miglia di Indianapolis, la porta del granaio americano, il cuore pulsante dello stato dell’Indiana, un tempo piccola cittadina popolata da 400 mila persone.

Indianapolis, altri 100 di questi giorni

 

di Lino Manocchia

 

 

 

 

New York, Martedì 24 Maggio 2011 - Con cento anni sulle spalle, record, gare, incidenti, piloti e spettatori, il Colosseo d’acciaio celebra il suo compleanno offrendo, il 29 maggio, la 95ª  mitica  500 miglia di Indianapolis, la porta del granaio americano, il cuore pulsante dello stato dell’Indiana, un tempo piccola cittadina popolata da 400 mila persone. La gente di Indianapolis e’ affabile e rispettosa, consapevole di vivere in una citta’ che e’ l’ombelico del mondo delle corse  automobilistiche. Questo grazie  proprio al Colosseo in armature d’acciaio nato nel 1911. Indianapolis e’ la Woodstock dei motori, la quintessenza di uno stile di vita che si identifica con gli Stati Uniti, un nuovo evento sportivo capace di dare reputazione alla corsa di “open wheel”, divenuta  evento internazionale, come giustamente afferma  Fred Nation Direttore delle comunicazioni. Oggi il circuito di Indy e’ uno dei piu’ moderni del mondo, ma il cronista lo ricorda ancora quando l’asfalto non era cosi’ levigato, quando al posto dell’attuale torre di controllo c’era quella  che chiamavamo Pagoda e che noi radiocronisti e cronisti di tutto il mondo assalivamo tre giorni all’anno. Consentitemi qualche aneddoto.

Indianapolis e’ stata sempre la fata morgana di patron e piloti. Frank Arciero di Montecassino ha avuto costantemente un debole per i piloti italiani. Ricordiamo quando ingaggio’ Fabrizio Barbazza, di Monza, col quale proprio a Indianapolis conquisto’ un terzo posto.  Anche il grande Nino Farina, campione di F.1, nel 1950 tento’, senza successo, con una Ferrari  ma a causa di guasti meccanici non pote’ completare le prove di qualifica.  Farina torno’ a Indy ma rimase coinvolto con un incidente che costo’ la vita al giovane Andrew. Farina ne usci’ illeso. Anche  Clay Regazzoni, nel 1977, provo’ l’avventura di Indianapolis, con la macchina gestita da Teddy Yip, singolare personaggio di Hong Kong. Regazzoni ando’ a sbattere con violenza  contro il muro. Conobbi Teddy Yip a Watkins Glen  durante una gara di F. 1. Trasmettevo per la Rai (radio) e nella sala stampa l’incaricato aveva sistemato sette telefoni (a muro). Immaginarsi la confusione!
In Italia la mia voce sarebbe dovuta arrivare “pulita” senza le interferenze dei colleghi. Pensai cosi’ di rinchiudermi in bagno che era situato vicino  all’ultimo telefono.  Alla fine il collega in Italia, non avvertendomi che ero  ancora in linea, mi chiese da dove stavo trasmettendo. Descrissi la cabina e per scherzo tirai lo  sciacquone…Inutile dire che tutto passo’ in diretta.
Qualche settimana dopo mi giunse un biglietto, vergato col solito inchiostro viola. Enzo Ferrari mi avvisava che: “ La proporro’ senz’altro per  la nomina di “Cavaliere dello sciacquone”. Congratulazioni per il suo atto di genio": Ferrari.

 

LA PRIMA VOLTA A INDY

Il mio sogno di vedere Indianapolis si avvero’ nel  1956 quando ebbi la possibilita’ di seguire, da cronista, la prima delle quaranta 500 Miglia alle quali  ho assistito. Ero l’inviato radiofonico della Voice of America che  trasmetteva per la RAI. Sull’aereo che mi portava a Indianapolis conobbi il famoso radiocronista americano Bill Stern il quale mi chiese se potevo prestargli il mio registratore magnetico, tecnicamente migliore di quello in possesso della emittente radio ABC. Giunti a Indy, Stern mi presento’ Tony Hulman, creatore e padrone dello speedway, al quale disse che "ero un suo grande amico". Hulman ci credette e mi consegno’ un magnifico  Press Pass, e la chiave di un suo appartamento che non usava quando c’erano le corse. Cosi’ trascorsi il week end al fianco del grande Stern.

Sono tanti gli aneddoti  e situazioni susseguitesi durante la mia vita giornalistica che richiederebbe tanta carta ed inchiostro. Vorrei menzionarvi uno dei momenti piu’ emozionanti dei miei pellegrinaggi a Indianapolis. Era la vigilia della 500 miglia del 1979. Il proprietario di una macchina (Parnelli Jones) porto’ nella capitale della velocita’ la vettura con la quale Mario Andretti aveva stracciato il record del Texas Speedway. Parnelli regalo’ a qualche giornalista la grande possibilita’ di provare la sua monoposto. Effettuai quattro giri del catino alla media di 204,190 km. Ricordo ancora che le gambe mi tremavano per la paura e l’emozione. Oggi ripensando a quei momenti mi chiedo: «Ma allora mia madre aveva ragione: sono proprio un incosciente!?»

 

MARIO ANDRETTI

lo incontrai per la prima volta sulla pista nel New Jersey  di proprieta’ di Roger Penske, nel 1964, ed in fretta divenimmo amici (nella foto Mario e Lino insieme). Tanto che per primo ebbi la possibilita’ di entrare nella sua nuova villa di Nazareth,  donatagli dalla Firestone. Alla gara c’era anche Jim Clark. Lo scozzese si ritiro’  per la rottura del motore e quando gli chiedemmo un parere su Andretti, Clark rispose: «Mario e’ un grande piedone». Cosi’ nacque il soprannome di “Andretti Piedone”, appunto, che lo avrebbe accompagnto per tutti i successivi trent’anni di carriera. Il momento di maggior gioia per Andretti fu nel 1969 quando la sua STP Brower Ford turbo di Andy Granatelli vinse la sua prima 500 miglia di Indianapolis. Mario era ed e’ rimasto il “piu’ grande” nonostante il rivale, A.J.Foyt, texano (foto sotto), abbia vinto quattro 500 miglia ma non e’ riuscito a sfondare la F.1  che Mario, al contrario, conquisto’ nel 1978. In una parola, Mario ha vinto tutto quello che c’era vincere in diverse categorie. Ha corso 900 gare, vincendone  112 e segnando 110  pole position.                                                                                                      

ANDRETTI-FOYT

Due nomi, due glorie, esempio fulgido di coraggio, tenacia, decisione. Simbolo che tutt’ora rende sempre piu’ prestigiosa la categoria la quale continua ad attrarre l’interesse del mondo sportivo.

L’oriundo di Montona (Istria), oggi si fregia del titolo di Commendatore - che soltanto il grande Ferrari possedeva - e  cosi' definisce, nel suo libro “Piloti che gente”, “Coraggioso, generoso, serio professionista. Al suo nome sono legate alcune delle piu’ belle vittorie Ferrari”.

E raggiunte  le sue 65 primavere “Piedone” veniva dichiarato ad unanimita’ dalla stampa: “Pilota del secolo ed il piu’ grande tra i grandi”.

Ancora una volta faranno da cornice con la loro presenza  Fittipaldi, Mears, Unser, Rutherford, Sneva, Michael Andretti - figlio di Mario- assi che difficilmente verranno eguagliati. Molti sono tra noi, altri sono andati a correre in un altro pianeta, ma Indy non muore, ben guardata dalla Fata Morgana, con  la bandierina a scacchi, ed in mano oltre un milione e mezzo di dollari che i 33  concorrenti si divideranno e il colossale trofeo d’argento Warner sulla quale sono incisi i volti dei vincitori della corsa.

Questa e’ Indy, la glamour, avvincente, mistica "brickyard", un carnevale liberatorio di un’America Midwestern, la Gerusalemme dell’auto con  i suoi “pellegrini” che si scatenano una volta l'anno.

Lino Manocchia /ssnphoto.com

Lino Manocchia è nato a Giulianova il 20 febbraio del 1921, primogenito del giornalista e scrittore, il Cav. Francesco Manocchia, e di Filomena Spadacci.

Ha incontrato ed intervistato personaggi come: Frank Sinatra, Dean Martin, Perry Como, Rocky Marciano, Juan Manuel Fangio, Mario Andretti e tanti altri illustri personaggi. Durante il lavoro con Voice of America, Manocchia ha avuto modo di intervistare cinque Presidenti americani: Eisenhower, Kennedy, Johnson, Carter e Clinton.
I motori hanno rappresentato e rappresentano tuttora il "suo mondo".
 
 

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