IL NAPOLETANO DI HOLLYWOOD CHE AMMANSI’ KING
KONG
di
Lino Manocchia
Dino De
Laurentiis tra Jerry Lewis e Federico Fellini
New York, 14.10.2011 - Agostino De
Laurentiis, che i compagni di Torre Annunziata
(Napoli) chiamavano “Dino”, era nato l’8 agosto
1919, sotto il segno del Leone.
Sino ai 17 anni, vendeva gli spaghetti del papa’
pastaio, ma raggiunti i 20 anni fece scattare la
scintilla del mondo della celluloide.
“Spesso guardavo lo specchio, pero’ pensavo:
”No, la mia ambizione non e’ quella di fare
l’attore”, sognando forse, che il destino
gli avrebbe aperto la porta delle star, dei ceroni
e dei riflettori di quel magico mondo che un
giorno avrebbe dominato. Dino aveva il gusto
dell’avventura”. E’ un Concord, non puo’
avere pace”, dicevano gli amici, che
regolarmente seduceva con spaghetti e caffe’
espresso.
“Guai se mi fermo - disse una volta -.
La mia filosofia di sentirsi giovane e’ quella
di lavorare sino a quando si puo’”
Ed un bel giorno, senza troppi rimpianti, il
ragazzo di Torre Annunziata disse addio
all’Italia vestendosi da novello Colombo in
America.
Fu
un passaggio brusco, imprevisto sostenuto
dall’allergia dell’inglese. Correva il 1976,
Hollywood si dibatteva per creare un film
avente per primo attore il gigantesco gorilla
“King Kong”, che rapiva una magnifica
esploratrice (foto) e Dino De Laurentiis,
che come produttore non ha mai accettato il
“No”, brandi’ lo scudiscio ed ammansi’ King
Kong.
Il cronista ebbe modo di incontrarlo la prima
volta in occasione del “ciak” di King Kong a New
York, e un’altra volta nel suo trono-quartier
generale nel magnifico grattacielo Western Golf
in Columbus Circle, impegnato da una coppia di
telefoni, contratti, ordini e ultimatum.
Una volta gli chiesi: perche’ Dino De Laurentiis
ha lasciato l’Italia?
“Per l’insofferenza verso i politici, verso i
sindacati e, soprattutto, per l’impossibilita’di
trasformare leggi sbagliate a imprenditori
miopi, e di trasformare un cinema artigianale
come quello italiano, in un cinema industriale
e internazionale".
E perche’ proprio negli Stati Uniti?
“Perche’ sono l’unico Paese al mondo in cui
non bisogna ”compiacere” la sinistra per essere
ntelligenti”, spiego’
Ma come mai i nostri attori sono poco
“esportabili”?
“Non sono gli attori che esportano i film,
ma i film che esportano gli attori”
sentenzio’ Dino.
La conversazione cadde sul doppiaggio dei film
italiani ed il perche’ il film italiano non
attacca qui in America. “Il doppiaggio -
analizzo' Dino con la sua voce profonda
che incuteva timore - comporta una spesa
enorme per la traduzione, con parole spesso
intraducibili. E’ un travisamento della realta”.
Come, appunto, la pellicola ”La Bibbia” (che De
Laurentiis aveva fatto girare da John Huston).
“Il doppiaggio - aggiungeva lo zar di
Hollywood, come lo chiamavano nella capitale
della celluloide - il piu’ delle volte rovina
il contenuto, ma la bellezza della lingua non
potra’ mai essere tradotta in lingue che non
accettano o non ne capiscono il significato”
Dino riconosceva che l’Italia aveva un buon
numero di belle voci - molte della Rai- “ma
purtroppo, troppo eguali. Il doppiaggio
e’ senza dubbio uno dei tanti elementi che
contribuiscono a far perdere piede ai nostri
film in America”.
Il “Grande campano” respingeva, sorridendo e
toccandosi le estremità degli occhiali,
“l’accusa” di caparbieta’, spiegando che
”quando un uomo ha successo, viene subito
accusato di qualcosa. Ma senza ambizione e
tenacia non c’e’ successo”.
Dino voleva sapere spesso del lavoro dello
scrivente e per lui fu un magnifico “maestro”
di vita spiegando con una semplicita’
conturbante come ottenere il successo ” e
concludeva: ”Devi avere intuizione e la
capacita’ di lavoro, dalla mattina alla sera
alle undici”
Dino De
Laurentiis e Silvana Mangano dopo la nascita
della quarta figlia
Dino idolatrava la famiglia, ed affermava “di
possedere il “puro pensiero napoletano”, l’amore
per i figli e l’amore per la vita, la buona
cucina, il sole ed il mare”.
Quando gli chiedevo se egli doveva tutto al suo
carattere, rispondeva con una sarcastica
risatina: ”Si, far cio’ che mi piace”.
Superstizioso, aveva un corno di corallo sulla
scrivania e quando domandai il perche’ aveva
fatto venire apposta il barbiere da Napoli,
preciso’: ”Vincenzo non e’ solo il mio
barbiere, e’ anche un uomo di fiducia, con me da
trent’anni. Sua moglie Concetta poi e’ una cuoca
straordinaria”
Il curriculum dell’ “emigrato napoletano”
contiene una invidiabile cornucopia di lavori,
successi e qualche contrattempo che, con il suo
savoir fair, ha controbattuto a fronte
alta. Padre e marito desiderato da splendide
signore, che Dino accantono’ per Silvana Mangano
- l’eroina del film "Riso Amaro”- la quale gli
regalo’ 4 figli e’ mori’ nel 1989. Qualche
anno fa sposo’ la Movie Producer Martha
Schumaker che l’ha baciato, l’ultima volta,
insieme alle due sue figlie, il 10 novembre 2010
lasciandoci un retaggio di opere (e due meritati
Oscar) per chi ama fare della vita uno strumento
costruttivo, di marca Delaurentisiana.
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