NEW
YORK, 9.11.2013
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Dodici
anni fa, il
25 aprile 2001, durante le prove in vista di una
"Le
Mans", a bordo di un'Audi R8, per lo scoppio di
uno pneumatico sulla pista di Lausitzring, nei
pressi di Dresden (Germania), decedeva un
degno rappresentante dell’automobilismo
italiano: Michele Alboreto, milanese, 45 anni,
con sulle spalle 13 anni di competizioni.
Da giornalista ed amico, pago un debito di
rispetto verso un valente pilota, che
il pericolo non riuscì a scomporre, e che lottava con
cuore e decisione, pur sapendo -mi diceva -“che
ci va di mezzo la mia vita”. Michele era un
corridore calcolatore, abile a contenere il
nervosismo delle circostanze, nonchè abile a
cambiare volante e pista a differenza di altri
commilitoni che andavano per la maggiore.
Il milanese fu
l’ultimo italiano che ebbe l’onore di guidare
quattro volte, e definitivamente, la Ferrari
ricevendo l’elogio del Commendatore, spesso
avaro nell’elargire medaglie e diploma. Pilota
grintoso, abile nel fornire preziose
informazioni ai compagni di squadra, fu il
preferito di tutti. Alboreto, sfortunatamente,
fu l’undicesima vittima della velocità.
La sfida di
Olivier Chandon
Era in auge, in quel
periodo, una magnifica fanciulla di nome Crystie
Brinkley, nata Crystie Lee Hudson, fotografa,
scrittrice, modella per Sport Illustrate come
la più bella donna del secolo, ardentemente
amata dal giovane francese Olivier Chandon De
Brailles (i due nella foto).
Chandon, erede della famosa ditta omonima di
champagne, era deciso a diventare un grande pilota,
idea contrastata dal genitore il quale gli
passava soltanto cento dollari al mese
purchè cessasse di correre. Per tutta
risposta, il giovane francese si impiegò, per un
certo periodo, come fattorino di una ditta di
ascensori, portando messaggi e notizie con la
Lambretta che la fidanzatina aveva acquistato
per lui, coabitando in due minuscole stanze nei
pressi del Columbus Circle di New York.
Oliver conobbe
Crystie al club 51 di New York durante una
serata in onore della modella, attratta dal
fatto che il francese era un simpatico ragazzo,
pilota e ricco tra l’altro.
Il cronista era
molto amico della coppia con la quale consumava
pranzetti durante le corse e collaborava spesso
coll’acquistare il biglietto aereo per seguire
le gare, con la promessa di Olivier che ”quando
prenderò in mano le redini di mio padre, ti
restituirò tutto e diverrai il mio braccio
destro”.
Olivier guidava un "barroccio", ma un giorno mi chiamò per dirmi che
un suo ricco amico, produttore di un wisky nel
sud, gli aveva preparato una “Rat” per la
Formula Atlantic. Allorchè mi indicò la
pista-test campagnola del “Moroso Park"
(Florida) suggerii decisamente di non provare poichè il percorso era pericoloso e la macchina
non era stata dichiarata sicura.
Ma Olivier sognava
la grande corsa, l’arrivo, la vittoria. E provò.
Osservai la guida balorda della macchina, per
il fondale, che al quinto giro fece perdere il
controllo ad Olivier il quale, lanciato a 100
miglia l’ora, urtò un muretto finendo,
capovolto, in un canale fangoso, dove rese
l’anima a Dio. Era il 2 Marzo 1983, aveva
soltanto 28 anni.
Un anno prima, in
occasione del G.P. canadese Marcello Sabbatini
(direttore di Rombo) incaricò la Brinkley di
fornirgli foto della corsa. Io situai la
“fotografa” in un punto nevralgico della pista,
ma subito al via, il destino volle che il povero
Ricardo Paletti perdesse la vita per un
contatto ad alta velocità, che Crystie
fotografò. Sabbatini compensò con 300 dollari
l’eccezionale servizio, che la modella
incorniciò come souvenir.
Le statistiche indicano che per 50 anni
nomi internazionalmente famosi corsero in 88 Gran
Premi e in altre corse motorizzate,
incuranti del detto, purtroppo indovino, ”La speed uccide” che spesso porta il cronista a
scrivere controvoglia, situazioni ingrate, a
volte ripudiate. Un vero peccato! |