Nel
50°anniversario della morte di JFK, caduta il 22
Novembre 1963, il nostro Manocchia ricorda
un'intervista con il di lui fratello Robert
due giorni prima che questi fosse ucciso a sua
volta. Sull'attentato a John, il Kennedy minore
non ha mai detto “Ha ucciso mio fratello…"
riferendosi all'assassino Shiran K. Shiran,
bensì “the
day they killed my brother…”
(“il giorno che hanno ucciso mio fratello…”
), convinto del complotto ordito
a danno di JFK.
NEW YORK,
22.11.2013 –
Correva
l'anno 1968, Robert Kennedy, il minore della
favolosa famiglia del Massachusset, avrebbe
tentato la corsa verso la presidenza degli
Stati Uniti dopo l’assassinio del fratello John
Fietzegerald avvenuta il 22 novembre 1963, 50
anni fa, ad opera di Lee Harvey Osvald, con
l’aiuto di Russia, Cuba ed altri gruppi
criminali organizzati
Robert,
familiarmente chiamato “Bob”, aveva trascorso
vari anni sotto la guida del Presidente degli
Stati Uniti nelle posizioni più importanti del
governo americano, e portava molta esperienza
nel settore umano di cui la nazione aveva
bisogno.
Premetto
che il cronista, allora corrispondente di
diversi quotati quotidiani italiani, aveva avuto
modo di intervistare, per la “Voice of America”,
l’allora Presidente Usa JFK in occasione
dell’inaugurazione di un suo busto in bronzo nel
parco di Brooklyn.
Col
Presidente parlammo dell’Italia, del gioco del
calcio e della lotta che la “Voce dell’America”
svolgeva su scala nazionale onde convincere gli
italiani a… ignorare i comunisti... Fu un
interessante scambio che non è da tutti i
giorni, che si concluse con una “elettrizzante”
stretta di mano del cronista col Capo della
Nazione.
Purtroppo
il destino crudele aveva posato la sua micidiale
mano sulla famiglia Kennedy, amata e stimata da
tutti.
Tre anni
dopo l’omicidio di Lee Osvald, infatti, qualcosa
mulinava nell’atmosfera politica.
I primi di
giugno del ’68 Bob Kennedy, più che mai deciso a
vendicare la morte del fratello, intensificò la
sua campagna elettorale e scese a New York, dove
l’attendeva una colonna umana di sostenitori
attraverso le principali Avenue della Grande
Mela. Aiutato dall’amico Lino Guglielmo, della
Rai, che reggeva il mio registratore e grazie
allo speciale Pass, ebbi modo di avvicinarmi a
Bob col quale intavolai una “conversazione
viaggiante”.
La prima
domanda che mi chiese fu: ”In Italia tutti
giocano al football, e tu giochi al calcio?”
Mi permisi
di rispondere si, poichè nelle scuole medie io
ero un veloce centometrista,
Bastò
questa frase per aprire una discussione
calcistica che coinvolse l’Italia e l’Irlanda,
patria del senatore.
“Allora
conosci Meazza e Pele? E Nuvolari’ e Carnera?
Sono gli atleti che vorrei poter incontrare”
confessò il candidato democratico.
“Io amo
giocare al calcio e vorrei poter diventare un
asso. Ma la Presidenza mi ostacola”. Dallo
sport Bob passò alla politica, per parlare della
schiavitù, della discriminazione che annovera
milioni di anime in povertà e della critica
verso la giustizia umana imperfetta: “Il
futuro... - esclamava Bob -. Il futuro
non appartiene a chi è contento con l’oggi e gli
apatici, e il nostro futuro forse si porta
dietro la nostra visione, ragione e coraggio”
La preziosa
lezione politica durò sino a quando marciando a
passo accorciato il senatore salì sul palco per
discutere la sua candidatura alla Presidenza,
non dimenticando di rispondere prima alla mia
domanda se era mai stato in Italia e cosa ne
pensava: ”Sì, sono stato una volta nel Lago
di Como, ho visitato i centri dove le Forze
armate americane e italiane difesero la nazione
dall’invasione tedesca. Debbo dire che l’Italia
è una nazione fortunata per la sua popolazione,
per lo sport, per la fantastica storia di
penne, oratori e poeti di grande portata, ma
certo, dovrebbe eliminare il Partito Rosso”.
Dopo la Sua elezione, senatore, ritornerà in
Italia?
“Se il
destino non cambia, gli italiani mi saluteranno
Mister President”
”Bo
chiorno” (“buongiorno”, il politico irlandese-inglese-americano stentava a
pronunciare qualche bella parola italiana; nd.r.).
Robert
Kennedy era un personaggio incredibile,
ispirazionale, ideologico, sospinto, al pari del
grande fratello JFK, che sognava di cambiare il
mondo.
A questo
punto il cronista salì su una veloce macchina
diretto all’aeroporto Kennedy, da dove partiva
un aereo dell’Alitalia e l’indomani avrebbe
consegnato il nastro al quotidiano Stadio
A Bologna,
l’allora direttore, Luciano Parisini, diede
sfogo alla sua verve giornalistica stampando
una intera pagina con l’intervista esclusiva di
Bob Kennedy, due giorni prima dell’omicidio del
senatore.
La storia
ricorda che Kennedy era ritornato nel West per
arrotondare l’elezione di Capo della Nazione,
dopo aver conquistato seggi dappertutto, e nell’Ambassador
Hotel di Los Angeles aveva incontrato i suoi
sostenitori per festeggiare la vittoria
elettorale conseguita nelle Primarie della
California.
Dopo il
discorso di saluto, mentre Kennedy veniva fatto
allontanare dall’hotel attraverso un passaggio
delle cucine, vennero esplosi colpi di pistola
contro di lui sotto gli occhi dei reporter e dei
telespettatori che lo seguivano.
L’assassino
fu subito arrestato e poi condannato. Si
trattava di Shiran B. Shiran, un giordano di
origine palestinese, ma alcune conseguenze
emerse durante il processo hanno dato adito a
dubbi sulle responsabilità della morte di RFK.
Tre anni dopo quella del fratello Presidente JFK. |