di Lino Manocchia
New York, 9.11.2011 - Joseph William
”Joe” Frazer, ex campione del mondo dei
massimi, quattro giorni fa, è stato messo al
tappeto da un tumore al fegato ed è partito
alla volta del Pianeta celeste. Era nato nel
1944 a Beaufort, nella Carolina del sud ed
aveva “adottato” la citta’ di Filadelfia quale
quartier generale della
sua attivita’. “Smoking Joe”, come lo chiamavano
gli amici, con i suoi 12 fratelli e sorelle era
cresciuto in una fattoria di famiglia di dieci
acri. I suoli genitori piantavano verdure, ma il
loro reddito principale veniva sopratutto dal
lavoro per le aziende agricole di grandi
proprietari terrieri bianchi. Suo padre era un
sorvegliante, soprannominato Billy Boy, e Joe
era il preferito. Nella sua autobiografia il
campione scriveva: «Mio padre era il mio
eroe, il mio battito cardiaco. Eravamo sempre
insieme».
L’infanzia di Frazier fu una vita rurale del
sud. Trascorse gran parte del suo tempo ad
aiutare il padre a gestire un immobile e
aiutandolo nel fare le sue faccende quotidiane.
E cosi’, come fecero i suoi genitori e fratelli,
anche lui lavoro’ nei campi di una delle grandi
aziende agrarie.
Lassù, l’ex campione si ritrovera’ con papa’ Rubin,
e con Rocky Marciano, Jack Dempsey, Joe Louis,
Sugar Ray Robinson, Rocky Graziano e tanti altri
amici di… “ventura pugilistica”.
Con se’ ha portato un compendio della sua vita
di rara portata, la medaglia d’oro Olimpica che
diede inizio alla sua carriera, battendo il
russo Vedin Yemelianov, e poi la vittoria
“sull’eterno rivale” Muhammad Ali nel corso di
uno dei piu’ combattuti incontri, ritenuto forse
il più bello della storia, al quale Frank
Sinatra intervenne, ”fortunatamente” in veste di
fotografo a bordo ring per Life Magazine e per
il quale incontro’ i due gladiatori guantati che
percepirono l’astronomica somma di 2.5 milioni
ciascuno. L’attore Burt Lancaster svolse la
funzione di commentatore a bordo ring, mentre il
grande Ali’ dichiaro’ che «Joe Frazier, lo
dico apertamente al mondo, ha estratto il meglio
della mie possibilita’. Questo mio rivale e’ un
grande, magnifico uomo. Dio lo benedica».
Poi con un forzato sorriso aggiunse: «Dopo
il grande Ali, e’ senza dubbio il migliore
pugile della storia».
Eppure, nonostante gli elogi corroboranti, il
“fedele di Maometto” continuava ad essere
spietato con Frazier dentro e fuori del ring,
chiamandolo “Smoking Joe”, “Gorilla” e “Uncle
Tom”.
Lo stile aggressivo, incontrollato di Joe
Frazier non appariva piacevole come il giuoco
di gambe del danzante Ali’. Le sue vittorie
sono emerse grazie ad una implacabile pressione
accompagnata da un devastante gancio sinistro,
come quello che spedi’ Ali’ al tappeto del
Madison Square Garden, in 15 riprese, nel corso
del Match del Secolo dell’8 marzo 1971.
L’ultima volta che il cronista vide Joe Frazier
fu lo scorso agosto a Filadelfia, in occasione
della Convenzione Nationale dell’Association
giornalisti neri. Joe era presente, per essere
onorato dall’organizzazione con il “Pioneer
Award” per la sua splendida carriera
pugilistica.
Elegantemente vestito ed un sorriso 24 karati,
proveniva dal Madison Square Garden dove aveva
ricevuto calorosi applausi della folla, in
riconoscimento del 40mo anniversario del suo
primo incontro con Muhammad Ali’. Piu’ volte
avevamo visitato la sua palestra che chiuse
tempo fa. E ad una manciata di giovani promesse
(colored) fece mostrare quanto utili e proficue
erano le lezioni settimanali. E ogni qualvolta
vedeva mio nipote Adriano -fotografo- intavolava
dibattiti sul valore di questa o quella macchina
fotografica.
«Durante la mia vita, se avessi insistito, avrei
potuto diventare fotografo sportivo, ma la boxe
bolliva nei miei muscoli e non potevo farne a
meno»,
diceva.
«Non mi dispiace lavorare con i ragazzi -
affermava Joe -. I ragazzi rappresentano il
domani, e se non facciamo qualcosa per loro,
adesso, come possiamo pretendere di farli
capaci di guidare gli altri».
Malgrado un’accentuata lentezza fisica e la
parola confusa, causa i colpi ricevuti, “Smoking
Joe” era rimasto attivo nel distribuire
autografi. Un mese prima del decesso nella Lobby
del noto MGM hotel di Las Vegas aveva sostenuto
un atro match fatto di strette di mano, abbracci
e autografi.
«Io sono Joe Frazier, tagliente come un rasoio.
Come ti chiami?»,
apostrofava i fan.
«Il pugilato ha perso un grande campione e lo
sport ha perso un ambasciatore” ,
dichiarava Manny Paquilao, dopo il match con
Manuel Marquez. Pacquilao, come Frazier in
possesso di un potente gancio sinistro, riceveva
gli auguri dell’ex campione.
Don King che organizzo’ il fatidico “Thilla in
Manila”, emozionato, non fu capace di rispondere
alle domande della stampa, pur conoscendolo per
un forbito oratore. Joe era un grande ispiratore,
un decente “guy”, un uomo di parola. «Sono
costernato al pensiero che Joe e’ deceduto»,
afferma Bob Arum che organizzo’ uno dei big
match di Ali’, e con un senso di tristezza
proseguiva: «Non ho abbastanza parole per
elogiare Joe. pugile dal forte pugno ed un cuore
forte».
Un giorno un collega di Filadelfia chiese al
”concittadino”: Joe ti consideri un secondo
Rocky Balboa, l’eroe del film “Rocky”?
«Certo che lo sono – la risposta - Io
ho lavorato al mattatoio. Io sono quel tale che
correva per le strade di Filadelfia».
Un giorno quando lo zio lo paragono’ a Joe
Louis, il pugile costrui’ un sacco pesante
costituito di iuta e stracci, pannocchie e
muschio spagnolo. Appese il sacchetto al ramo di
una quercia nel cortile e comincio’ a colpirlo
quasi ogni giorno, per gli anni successivi.
Nella sua autobiografia scrisse: «Voi tutti
potete ridere, ma un giorno diventero’ campione
del mondo. Il mio sogno era quella borsa pesante
fatta in casa».
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