NEW YORK,
28.12.2014 –
Alcuni
giorni or sono Muhammad Alì è stato ricoverato
in ospedale in stato d’incoscienza. Il campione
del mondo dei massimi, come noto, è affetto dal
morbo di Parkinson da oltre 30 anni. I medici
curanti hanno suggerito il ritorno a casa del
famoso campione guantato, e sottoposto alle
amorevoli cure della figlia Ana e a quelle
terapeutiche di un medico personale.
Personalmente diventammo amici con Alì durante i
vari ricevimenti newyorkesi e gli allenamenti
estivi che il campione svolgeva a Deer Lake
nella Pensilvania, una tenuta acquistata da Ali’
nel 1970, dopo i noti dibattiti verbali con gli
organi militari americani.
Era una
tenuta ampia, dove Ali costruì una “Cappella”
per pregare e per intrattenersi con la stampa
ed amici.
“La
voce”, come lo chiamava qualche collega, era un
estimatore dei grandi pesi massimi del passato -
come Rocky Marciano - il cui nome venne dipinto
su una grossa roccia dal padre pittore, e che
mio figlio Adriano fotografò durante alcuni
allenamenti.
“Questo
- disse Alì – perchè si ricordi che tra i
grandi della boxe c’e’ anche Cassius Marcellus
Clay ( convertitosi in Muhammad Ali,
apostolo islamico, guidato da Eliha Muhammed e
Malcolm X: ndr). Come potete notare, io sono
“il più grande, sono il re”, pertanto
rispettatemi come tale”, dimenticando,
pero’, che sul ring di Wimbley Stadium di
Londra, nel 1963, provò il duro del canovaccio,
messo in ginocchio dal sinistro dell’inglese
Henry Cooper il quale, a sua volta, dovette
arrendersi alla quarta ripresa con le
sopraciglia sanguinanti. Il match passò alla
storia come la “leggendaria notte londinese”, e
commentando il passato, Cooper asserì: “Per
me il combattimento fu micidiale, difficile da
dimenticare, riuscii a colpire Alì al mento ma
lui ostentatamente mi martellava le sopraciglia
e fece… tombola. Per me Alì è il più grande
combattente del mondo dei guantoni in tutti i
sensi”, affermò l’inglese.
Quel “neo”
politico che ha disturbato il negro del Kentucky
è stato sempre il suo “NO al Vietnam” che
sovvertì la pace degli sportivi e del Governo
americano. Vinse Ali che considerava la sua
controversa posizione ”un semplice neo”.
Un giorno scherzando gli chiesi: Scommetto che
avresti paura a ripetere il corso della tua
vita...
Strinse il
pugno e, avvicinandosi, lo portò al mio mento:
“Vedi, non cambierei un solo tempo di
combattimento. Con questo destro distruggerei di
nuovo tutta la marea di contendenti”,
replicò.
Alì era
loquace, anche troppo. Una volta scrissi che
“la cornacchia non trovava il sonno e
disturbava tutti”. Me lo fece notare e
ridendo replicò: ”Ma tu pensi di essere mio
amico, con queste ingiurie?”
Più sorridente era allorchè intercalava il
discorso delle “donne”. Il ciarliero Alì
sapeva selezionare le sue donne e il sesso
debole accettava la stura di belle parole e
complimenti femminili. ”Io non sono come Joe
“Zio Tom” (Frazier; ndr). Joe è muto,
stordito, sedentario, non ha nè classe nè ritmo.
Sapevo che non sarebbe stato mai un grande
campione”.
Dal canto
suo Frazier, con voce patetica, rievocava la sua
vita nel sud: schiavismo, fame, la sua modesta
vita di lavoratore ed il suo arrivo a Filadelfia
dove trascorse il resto della vita, dopo aver
sostenuto due dei più atroci combattimenti della
storia. La “cornacchia” non ama rievocare i due
feroci incontri, il primo al Madison Square
Garden dove la vittoria sorrise a Joe e nello
Zaire dove Muhammad mise in mostra tutta la sua
potenza, classe e “cattiveria”.
E la storia
del “ragazzaccio del Kentucky” prosegue
rapidamente. 46 anni or sono, 14 mila spettatori
canadesi assistettero ad un avvincente
incontro tra lo “slogger” (modesto lavoratore;
ndr) George Chuvalo ed il “maestro” il quale,
malgrado tutto, dovette resistere 15 riprese
prima di accaparrarsi un altra vittoria sul
malcapitato, vedovo e padre di tre figli
drogati.
Si ci fu
anche l’inglese George Foreman, più giovane del
campione e capace di fargli piegare le
ginocchia. Ma dopo il match confessò: ”Ho
fatto un calcolo errato. lo vedevo sempre più
stanco, lento e invecchiato. Vedevo il K.O in
mio favore, insomma, ma mentre il sogno sembrava
stesse avverandosi, il K.O. sopraggiunse con un
furioso finale ai miei danni. Alì senza dubbio è
un grande atleta, il più grande campione”
confessò Foreman.
E
la giostra pugilistica proseguiva sempre più
rapida mostrando il non plus ultra del palco
cordato. Fu Ken Norton, un simpatico atleta
che, ammesso nei Marines, divenne subito
campione della serie e nel 1973, sul palco
californiano decise di diventare il re del
pugilato mondiale. Quindi nel 1978 sul ring
dello Yankee Stadium, Ali sudò le proverbiali
sette camicie per difendere il titolo in palio.
Due anni dopo Ken decise di ritirarsi e la
Boxing Association lo nominò “Fighter of the
year” ma conclusa l’ascesa sino alla vetta del
boxing, il negro dell’Illinois all’età di 70
anni perse il suo ultimo round col destino.
Precedentemente aveva preso parte a 5 film di
Hollywood, compreso “Mandingo” di Dino De
Laurentiis.
La boxe
mondiale intanto si preparava al “gran finale
dei giganti” Muhammad Alì e Joe Frazier, ambedue
amati dalla folla che chiedeva di chiarire una
buona volta chi veramente fosse il re dei re,
dopo la sconfitta sonora inflitta da Frazier al
suo rivale nel primo incontro newyorkese.
E la
rivincita giunse circa 42 anni fa sul ring di
Kanshise-Zaire, nel Congo.
“Sentiremo tuonare i due giganti nella giungla”,
dissero. E tanto tuonò da tener sveglio mezzo
mondo. Sì, vinse Muhammad e lo fece subito
noto, con la sua tromba naturale, ai quattro
venti.
Il commento
del fedele trainer e consigliere Angelo Dundee
dopo il combattimento fu semplice: ”Ha vinto
il re, viva il re” il quale per la cronaca,
rimase sulla breccia sino a quando quel
maledetto Parkinson si acutizzò frenando ogni
sua altra velleità.
Con l’anno
nuovo a nome dei colleghi e migliaia di fan,
auguriamo un migliore, felice Anno Nuovo. Alì se
lo merita veramente!
(Foto Adriano Manocchia) |