NEW YORK,
29.8.2015 –
8
dicembre, scadeva l’anno 1964. Il pugilato
tricolore stagnava, unico a tenersi in piedi era
Sandro Mazzinghi, gli altri sembravano in
vacanza di fine d’anno. Sulla piazza restava,
pur se arrugginito, stanco e svogliato, il
grande, l’imbattibile Sugar Ray Robinson,
all'anagrafe Walker
Smith Jr. Appassionato
anche di storia, geografia, vita e miracoli
dell’Italia, aveva deciso da tempo: avrebbe
visitato Roma, anche se la proposta di una
“esibizione” non saziava la gola del grande
negro di Harlem. Giuro, rimasi, estasiato dal
parlare del grande re dei guantoni che rifiutava
profumati milioni e tanta gioia del palco
cordato quando, appunto un mese prima, mandava
gambe all’aria il bravo Fabio Bertini, per poi
dire «basta!». A quel punto, 44 anni
e una mano fratturata quattro mesi prima,
esclamava: «Di questo passo, manderete mio
padre sul ring!»
Forse il mondo guantato ha preteso troppo dal
suo “Io”, ma non poteva mancare dal pubblico
romano e sarebbe oltremodo ingeneroso voler
accorgersi soltanto oggi, che Sugar Ray
Robinson, il “favoloso Zucchero”, la
“leggendaria perla di Harlem è soltanto un pezzo
da museo. Giù il cappello prima di tutto e poi
un passo alle gambe. Un ballerino, passi di
danza, il suo stile inconfondibile. Peccato,
tutta la sua azione ha perso la brillantezza,
ritardata.
Eppure
Sugar Ray resta il “globetrotter” del quadrato,
che porta a spasso la sua leggenda con molta
dignità.
Un
solo rammarico: quello di non aver potuto
apprezzare un Robinson con almeno dieci anni di
meno. Sugar è ormai giunto al traguardo. Prima
che concludesse il suo dialogo con il pugilato
meritava di essere visto.
E,
innamorato della città della ”pecora nera e i
bambini che poppano latte”, ha scelto la
Caput Mundi onde poter portare con se' i
ricordi più belli della sua vita.
Un
distinto signore, che di boxe ne aveva da
vendere durante la pausa del match romano, ci
diceva:
«Per
quello che riesce a fare ancora, è un miracolo
di uomo, ma il tempo ha certe leggi. Il pubblico
ha capito il suo dramma e si è contenuto: Un
saluto al grande "Zucchero” che ha consumato il
“tempo” romano visitando, osservando e prendendo
appunti “da riportare ad Harlem e farne un
tesoro incalcolabile».
Sì, ha voluto visitare il Pantheon, Il Monumento
ai caduti, San Pietro, (pur se di diversa
religione) e soprattutto la fontana di Trevi.
«Ma
ci si può tuffare? - chiedeva con accento
patetico -. A scuola la maestra ci diceva che
a Roma c’è una pecora nera che allatta i
bambini!!!»
Quando vide la Lupa romana scaricò un rullino
fotografico.
Robinson , amava la cucina.
«Quella romana è un paradiso meraviglioso. Sono
felice di aver visto questo magnifico mondo, lo
terrò di conto insieme alle mie vittorie sul
ring.
La maestra aveva ragione: "Roma è un paradiso
terrestre" ed io l’ho fotografato».
Quando ripartì mi invitò a visitare Harlem, che
avevo già “toccato”, imparando altresì cose
interessanti.
Sì, è proprio vero, il re di Harlem, concludendo
il suo dialogo col pugilato, meritava di essere
visto!
Sugar Ray Robinson era divorziato da due donne:
la seconda, Willy Wigging, di molto più
anziana, instradò “Zucchero” sulla via della
droga. Il giorno prima del decesso della moglie,
il campione era stato ricoverato all’ospedale
per forte pressione del sangue, causata dalle
penose agitazioni familiari e non potette
partecipare ai funerali poichè la moglie lo
drogava e plagiava aspramente.
Il
12 aprile 1989, il favoloso combattente del ring
cedette e non potette contare le sue gloriose 67
primavere |