Manie, passioni e superstizioni
dei campioni del ring
Marciano
credeva negli aeroplani, Carnera credeva nelle
streghe, Robinson
voleva la stanza numero 29 del Garden, Willie
Pep prediligeva un cornetto di legno nero
Rocky Marciano
NEW YORK, 13.9.2013
- Come ogni essere umano, anche i grandi
campioni hanno le loro piccole manie, le loro
piccole superstizioni e le loro cose
predilette. Anche i grandi Campioni aspirano a
divenire celebri musicisti, ad emulare Fred
Astair o a raggiungere la fama di Benny Goodman.
Sul ring, però, è differente: qui la forza, lo
stile, l’occhio, sono quelli che dominano e
regolano un incontro; fuori dalle quattro corde,
fuori dalle luci triangolari, i pugili
rappresentano uno dei tanti gruppi di persone
sparse sulla terra, non peggiore né migliore di
quelli che vivono la loro giornata in diverse
attività.
Gli episodi che vi narrerò in questa “girandola
sportiva” faranno sembrare strano e assurdo
tutto il pezzo mentre non sono che autentici
dati di fatto accuratamente raccolti.
Nella storia dell’emigrazione italiana, che
conobbe un nuovo boom nel dopoguerra, lo sport
ha sempre rappresentato una fugace ma valida
iniezione di orgoglio nazionale.
Rocky Marciano
- al secolo Rocco Francis
Marchegiano
- divenne il
più grande campione mai visto fino alla sua
epoca, il simbolo della forza, la cocciutaggine
italiana. Il suo cognome, americanizzato negli
Usa si pronuncia “Marsiano”, e davvero Rocky
appare come un extraterrestre agli occhi di
milioni di appassionati yankee.
Quel cognome italiano fu per Rocky una specie di
strega, un “malocchio,” specie allorchè il suo
cognome veniva pronunciato, generando spesso
ilarità.
Rocky (nato il primo di settembre 1923) un
giorno, durante gli allenamenti lassù a
Grossinger (N.Y) ebbe a dirmi: «Ma perchè in
Italia scelgono certi cognomi strani che poi
generano la risata sarcastica dei tifosi, senza
ignorare che la mia richiesta di un documento
familiare mi mette nei guai con la stampa e gli
organizzatori? A volte penso che mi porti
sfortuna»…
Cercai di
spiegare ”l’arcano” che poi altro non è, se
vogliamo, che il “passatempo” dei cognomi di
tutte le razze, come, ad esempio, il cognome del
noto Saltalamacchia,
giocatore del Boston Red Yankee (baseball” ) che
genera sarcasmo a più non posso.
Rocky amava gli aeroplani. «Quando sono
lassù, vedo ad occhi chiusi il risultato del
prossimo mio incontro. Per me - diceva Rocco
- l’aereo è la mia passione e nel contempo la
mia superstizione».
Sfortunatamente,
il bravo figlio di Pierino e mamma Pasqualina
Picciuto, un lavoratore instancabile, ci disse
addio da bordo del suo Cesna 172 - che perse il
motore- diretto a Des Moine, mentre infuriava
una mortale bufera, che lo stroncò.
E’ noto che i
boxeur hanno molte ore libere fra un allenamento
e l’altro e così Ezzard Charles,
amante della musica, suonava il violino
riproducendo una melodia ascoltata da un disco,
ma stanco del violino, intraprese la lettura
delle opere di Kipling.
Questa cosa non è nuova, poichè è risaputo che
molti pugili -fra i quali Gene
Tunney
e Jimmy Braddock
- si dedicarono alla lettura di Shakespeare,
riuscendo a farne critiche giuste, che lo
ponevano tra i più decisi superstiziosi, capaci
di “sfatare” il destino, recitando una
particolare frase del libro, prima del
combattimento.
Anche i colori
hanno la loro parte predominante nel “casus”
superstizione. Jack Dempsey
era
abituato a mettersi i calzoncini rossi ed un
maglione rosso alle spalle al posto
dell’accappatoio, e prima dell’incontro soleva
baciare una statuetta rossa raffigurante
Nettuno, custodita insieme ai trofei.
Guglielmo Papaleo, alias Willie Pep,
nato nel Connecticut, il miglior pugile della
categoria “Leggeri”, ad ogni incontro voleva che
il suo “secondo” appendesse all’angolo del ring,
dove egli sedeva, un cornetto nero di legno ed
un pezzo di stoffa color giallo.
Jack
La Motta,
il toro del Bronx, il pugile più discusso del
suo tempo, non saliva sul ring senza il suo
grande accappatoio di pelle di leopardo, mentre
durante i massaggi negli spogliatoi, il secondo
figlio gli doveva tirare l’orecchio sinistro. Un
giorno parlando col “Bull of the Bronx,”
chiesi se era vera tutta quella “diceria”. Jack
approvò e confermò che tutto era realtà di vita
vissuta dal novantenne pronto a dire “yes” per
la settima volta ad una bella ragazza 50 anni
più giovane “che non mi permette di fumare in
camera, ma il numero sette è stato sempre il
mio portafortuna”.
Ray Robinson
che amava la musica quanto la boxe aveva formato
un quintetto col quale suonava con buon ritmo.
Robinson era un fervido ammiratore di Joe Louis
e voleva calcare le sue orme. Amava le mele che
voleva sempre a portata di mano nello
spogliatoio mentre non dimenticava di dire una
preghiera prima dei pasti e prima dell’incontro
sul ring. Il suo numero preferito era il 29, ed
ogni volta che si recava al Madison Square
Garden, egli insisteva affinchè gli venisse
riservato lo spogliatoio numero 29, nelle
adiacenze della 90ma strada.
L’ex campione
dei massimi, Joe Louis
amava il numero 30. Si dice che nel suo ultimo
combattimento al Madison Square Garden egli non
trovasse la sua stanza preferita perchè
occupata dal giudice. Al termine del vittorioso
incontro Louis dichiarò: «Ho vinto ma stavo
quasi per perdere, per mancanza di quella
stanza». Il bombardiere nero infilava prima il
guantone‘sinistro e poi il destro, mentre
baciava il destro dopo il controllo del peso.
Egli amava i cavalli e l’ippica (dove lasciò
molti suoi dollari con le scommesse; n.d.r).
Un giorno,
interpellando Primo Carnera,
seppi che egli credeva alle streghe. Dopo il
match con Max Baer, che era anche suo amico, il
gigante confessò che il suo amuleto consisteva
in un dente di cane appeso al suo polso
sinistro, durante gli allenamenti. Ma purtroppo
il match con l’amico Baer fu negativo, ed anche
quella volta “chiese perdono...al Cielo”.
Su queste manie ci sarebbe da ridere, ma che
volete, come ogni essere umano anche loro
possono avere le loro superstizioni ed idée,
specie poi, quando, sono dei campioni. Ne
convenite? |