NEW YORK,
13.12.2014 -
Consentitemi di narrare a volo pindarico una
fetta di vita vissuta tra motori da corsa e
piste che hanno arricchito i 65 anni trascorsi
all’insegna della “speed”, prima in Italia,
quindi nella Nazione della velocità e del
meritato riconoscimento da parte di esperti,
piloti e autorità del settore.
La storia
d’amore di Lino Manocchia con le macchine
e le piste
rappresenta
il compendio della carriera del
novantaquattrenne giornalista, reporter
innamorato del rumore del motore, dell’acre
odore dei carburanti e della Speed. Tutto
scaturì a Giulianova (Teramo); al seguito delle
corse di motociclette (che l’amico e direttore
del Corriere dello sport, Marcello Sabbatini
tanto gradiva) e quasi tutte a bordo della
lussuosa convertibile ”lambada “ del giuliese
Pierino De Felice.
Una volta
giunto nella Nazione della Libertà, lo sport
automobilistico mi aprì le porte che mi
introdussero a nomi altolocati della categoria.
Nomi che
per molti giovani potranno sembrare di normale
amministrazione, come quello - per esempio-
dell’emigrato siciliano Andy Granatelli
che in breve divenne il più ricercato, ricco,
rispettato industriale-sportivo, padrino del
grande Mario Andretti.
Il quale,
nel 1956, vinse alla guida del meraviglioso
bolide costruito da Andy, la 500 miglia più
eccitante della storia di Indy.
Tanti erano
i “paperoni” delle quattro ruote, uno più bravo,
più ricco, più fortunato dell’altro.
E fortunato
fu il cronista che ebbe modo di diventare, con
alcuni di loro, ottimo amico, come l’astro di
Hollywood Paul Newman, un uomo che non si
vergognava di dire che da giovane vendeva la
Bibbia accumulando i dollari per diventare una
star. Mostro sacro del mondo della celluloide,
una passione per le automobili che più volte
preferiva alle bellezze mondane, quelle auto che
lo hanno portato sui più prestigiosi podium
sportivi per ben 101 volte gareggiando contro i
più famosi driver del firmamento
automobilistico.
E poi,
ancora, il colosso degli ovali Bill France,
un modesto meccanico giunto da Washington. Con
un pugno di dollari e due amici diede vita al
tempio delle stock car, creando la Nascar,
ritrovo dei più temerari piloti della store
Daytona, il Tempio delle stock car.
Di pari
passo appare la figura di Tony Hulman, un
ricco sportivo, proprietario dell’Indiana, che
nel 1911, dopo peripezie tecniche inaugurava il
colosso d’acciaio col nome di Indy Speedway che
sino a qualche anno fa accoglieva circa 400 mila
spettatori di mezzo mondo.
La storia
di Indy, con le sue vetture e i suoi coraggiosi,
validi piloti assurse alla massima importanza
nel mondo dell’automobilismo sportivo. La
chiamano la corsa più eccitante del mondo,
malgrado i suoi 110 anni e la incapace
direzione del figlio di Tony, che dopo anni di
lite con la tenace mamma Mary, decideva di dire
addio alle armi, dedicandosi ad una vettura che
il figlio guida con gli altri piloti dell’ultima
leva.
Personalmente il cronista, ancor prima di
emigrare in America, adorava Indianapolis. E la
sua Indy rimase un sogno, un mistero sino a
quando il piroscafo “Vesuvio” si fermò a New
York, salutato dalla Statua della Libertà.
Credo
necessario citare un episodio che rese curioso
l’arrivo a Indy, insieme ad un collega, reporter
della NBC radio, Billy Stern, il quale mi
presentò a Hulman che a sua volta, commosso dal
giovane reporter italiano, lo trattò come
persona di riguardo della prima corsa alla quale
ero giunto dopo i miei sogni …italiani.
Un salto
nel passato.
Sì,
anche Gerald Jerry Forsythe ha scritto
pagine interessanti e indelebili della sua
avventura nel mondo delle quattro ruote.
Ero giunto
a Las Vegas per una gara importante, quando
conobbi questo vero gentleman, , industriale di
polso, magnate dallo spirito pioneristico con la
passione dell’agricoltura.
Quindi,
come non avrebbe dovuto dedicarsi anche
all’automobilismo?
Forsythe,
con i suoi meravigliosi, stravaganti e
lussureggianti classic Lakeside Resort & Spa,
situati nei punti più strategici del Michigan,
e con Bell Harbour, ama curare il golf
ed i suoi sette “ritrovi” con campi - gioco, uno
dei quali è piazzato nella sua vasta, ridente
campagna dell’Illinois.
Tutti
rappresentanti la sua grande passione per lo
sport che non si ferma qui, ma torna indietro
alla grande impresa di un campionato
automobilistico dal nome di “champ car” condotto
con successo, esperienza ed intelligenza, per
oltre 8 anni, fino a quando, disgustato dal
rendimento apatico e incompetente del figlio del
fondatore di Indy, abbandonava le redini. Prese
dal malcapitato erede, in condizioni tecniche,
pubblico ed incassi non certo gaudenti. Forsythe
per tutta risposta puntava lo sguardo sulla
produzione di vini pregiati della sua vigna di
Paso Roble (California) senza peraltro
dimenticare la colossale impresa industriale
Indeck che impiega oltre 80 tecnici, ingegneri
e centinaia di addetti al lavoro generale e
trasporti. L’attività del magnate dell’Illinois
presto si allargava costruendo piste
automobilistiche per il campionato da lui
diretto, nel Messico City e Monterey, senza
dimenticare Rockingam (Inghilterra).
La lunga
lista dei grandi delle quattro ruote, che
costruirono e guidarono lo sport motoristico,
prosegue a passo ridotto per necessità di spazio
e per poter menzionare alcuni nomi dei grandi
assi delle corse, come il campione dei campioni
Mario Andretti, “che nella sua carriera“
ha guidato tutto ciò che c’era da guidare” e
vinceva anche la 500 miglia di Indy a bordo del
bolide del connazionale Andy Granatelli, presto
seguito da A.J. Foyt, Richard Petty,
Bobby Unser, Johnny Rutherford,
Rick Mears, Emerson Fittipaldi e
Michael Andretti (figlio di Mario) che con
il loro coraggio e bravura scrissero pagine
memorabili sulle piste più importanti degli
Stati Uniti.
Osservando
il palmares del poderoso Speedway si nota che il
più
importante record di Indy fu registrato nel
2006, grazie alla bravura e coraggio di un pugno
di driver, che nel lontano 1993
dovettero
genuflettersi dinanzi al campione del mondo di
Formula Fittipaldi relegando Mansell,
campione del mondo F.1, al terzo posto.
SPEED,
VELOCITÀ, è quello che una fiumana umana
sportiva
chiede,
senza la quale Indianapolis diventa una consueta
passeggiata paesana nello stato dell’Indiana.
Quanti anni
ancora vivrà la pista delle meraviglie, delle
grandi
sorprese e
degli immancabili incidenti che mietono il
meglio
dell’arte
automobilistica?
Un vecchio
collega americano richiesto di predire quanto
sopra rispose: “Chiedetelo alla fortuna, o
meglio ancora al Creatore”. |