Il Museo Enzo Ferrari e la grande storia
New York, 7.3.2012 - Il Museo Enzo
Ferrari, è un fatto compiuto. Dedicato alla
vita del grande Drake, il magnifico, moderno
complesso, nelle adiacenze di Maranello, sarà
concentrato più all’Uomo-Creatore del magico
marchio sportivo che alle sue vetture, la cui
“Azienda” continuerà ad offrire con immutato
entusiasmo.
Non si confonda il fatto che nell’ampio spazio,
ricoperto dal cofano di una enorme macchina
color giallo, preferito dall’Ingegnere,
troveranno spazio tutte le storiche creazioni
ed il loro ampio significato, i cimeli corsaioli
e, quando possibile, anche spezzoni video delle
macchine in azione. Il nuovo Museo e’ una
interessante miscela di stagionato e di nuovo.
All’ombra della fabbrica Maserati, nel Museo
Ferrari disegnato dalla Future System of London
non sono stati dimenticati un archivio digital,
una sala delle conferenze e l’immancabile caffè
…all’italiana.
“Il Museo Casa Enzo Ferrari diverrà un posto
ideale per gli entusiasti, un centro culturale e
industriale turistico - ha commentato Adriana Zini, segretaria generale della fondazione -
mentre per la città di Modena il Museo diverrà
una Icon”, una magica attrazione da seguire”.
L’automobilismo, scrivemmo nel ferragosto 1988,
ha perduto il suo mito più grande, una stella
di incomparabile grandezza accesasi
nell’ottocento ma che illuminerà anche il futuro
più lontano della storia delle corse. Anche su
www.giulianovailbelvedere.it,
nel febbraio 2011,
ricordammo la figura del Grande Vecchio e lo
rifacciamo anche oggi.
Era Enzo Anselmo Ferrari, il “Commendatore”, che
il padre voleva ingegnere, mentre lui aveva il
sogno di diventare tenore di operetta,
giornalista sportivo e pilota di automobile.
Con quelle sue ampie braccia rompeva l’aria,
larghi gesti da patriarca si, ma in pace con la
vita, sembrava un arco teso e una delle corde
più importanti era la forza che emanava. Dopo
mezzo secolo di giovinezza e irreversibile
vecchiaia, aveva cominciato a cementare le prime
pietre della fabbrica.
Furono tanti gli illustri conoscitori della
vita, della politica, dello sport a cimentarsi
sul come coniare un nomignolo atto alla sua
personalità. Era troppo difficile paragonarlo a
qualcuno, impossibile definirlo.
Ferrari è mito, leggenda, tradizione, fede,
l’Uomo nato per vincere. Ma Ferrari è
diventato, sopratutto in questi ultimi anni
dolenti del nostro Paese, amore d’Italia,
simbolo d’Italia, rispetto dell’Italia. Ferrari
è diventato anche speranza in momenti di serenità.
Il
“Drake” è immagine tecnica e ambizione
pubblicitaria. Ferrari e’ entusiasmo, un pezzo
glorioso dei 150 anni della storia d’Italia,
quello che fa di 500 cavallini, un concerto
inimitabile, ogni volta una “prima”.
Parole, parole, parole. Quante ne sono state
scritte su questo mito, su questo fenomeno, su
questa realtà continua!
“Questa e’ stata la mia vita che non esito a
definire un ansimante cammino. Infinite volte,
dall’età dell’adolescenza, mi sono guardato
allo specchio chiedendomi chi fossi, che cosa
fossi venuto a fare al mondo, con un acuto
tormento. Qualcuno mi ha definito un uomo che
conosce l’umanità del peccato e la crudeltà del
vivere. Aggiungerei che so misurarmi nella
dimensione di questo mondo in cui siamo
costretti a vivere prigionieri della illusione
del successo” scriveva il Drake nel suo libro
“Ferrari ‘80”.
Il “Commendatore” iniziò a correre nel 1920 con
l’Alfa Romeo, che a quei tempi era il club per
gentleman driver. Nel 1923, in occasione di una
gara a Ravenna, la contessa Paolina Biancali,
madre del grande asso dell’aviazione Italiana
Francesco Baracca consegnò ad Enzo il simbolo
che il leggendario aviatore portava sulla
carlinga, un cavallino rampante. Gli disse:
”Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino
rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna”.
A partire dal 1932 questo simbolo apparve sulla
carrozzeria delle macchine prodotte dalla
Scuderia Ferrari.
Mentre sviluppava le vetture Alfa il modenese
costruiva un team di 40 piloti, fra cui Alberto
Ascari, Giuseppe Campari e Tazio Nuvolari.
Ferrari stesso continuò a correre sino alla
nascita nel 1932 del figlio Alfredo, detto Nino,
che morì di distrofia muscolare.
“Ho superato ormai - prosegue Ferrari nel suo
libro - la cima del monte, con animo disteso e
spero di poter continuare il mio lavoro, fino
all’ultimo giorno. Nel mio lavoro, ascoltando la
voce armoniosa della materia plasmata quasi un
germoglio di vita, mi sono avvicinato al mistero
dell’anima, ma non sono riuscito a scoprire la
mia”.
Apparentemente brusco, spesso umorista, lenti
nere, con la penna ad inchiostro viola in mano,
non si puo’ giurare che egli abbia mai
coscientemente compiuto una cattiva azione. Ed
egli conferma: ”sono tranquillo, anche se non
sereno, anche se così terribilmente imperfetto.
Non mi sono mai pentito. Rammaricato, spesso,
pentito mai, perchè ripeterei le stesse azioni,
comportandomi però in modo completamente
diverso. Nella mia vita ho fatto quello che mi
faceva piacere, non ho credito con nessuno. Mi
sono limitato a fare quello che ho fatto, ma
forse nell’altro Pianeta avrò più successo”.
Ferrari era certo che se gli fosse stato offerto
di ricominciare il cammino
percorso non avrebbe accettato, ”perchè gli
dispiaceva ricominciare il cammino percorso in
un mondo nel quale la forza si sostituiva alla
ragione”.
La sua carriera si concluse alla nascita del
figlio Dino di cui ebbe a dire: ”Quando la vita
mi mise di fronte al fatto compiuto, mio figlio,
fui indotto alla meditazione. A volte penso che
il dolore non sia altro che un esasperato
attaccamento alla vita, di fronte alla
allucinante fragilità dell’esistenza”.
Dopo aver fatto di tutto perchè non lo
dimenticassero, in un momento di rabbia disse:
”Se potessi, vorrei dire: dimenticatemi”.
Ma nessuno gli diede ascolto. |