“A Indy si fa
veramente la storia delle quattro ruote” disse Jimmy Clark,
lo scozzese volante che nel 1965 vinceva la grande sfida dinanzi a piloti
come Mario
Andretti, Parnelli Jones A.J. Foyt, Al Unser, Loyd Ruby.
L’anno successivo il
connazionale Graham Hill, percorrendo a velocita’
di gran lunga inferiore a quella raggiunta da Clark immortalava il proprio
nome sulla colossale Coppa d’argento dello speedway.
“Correre ad
Indianapolis e’ tutta un’altra cosa - ci diceva tempo fa Andretti
- sfrecciare sul rettilineo a 240 miglia all’ora,abbordare le curve elevate a
175
miglia, infilarsi nel gruppo dall’alto di una curva , e’ una cosa che nessun
circuito,nessuna gara motorizzata puo’ donare”.
Mario Andretti,”big foot”,
come lo qualifico’ Jimmy Clark a suo tempo,
appese il casco conservando un grande sogno segreto: Vincere la seconda
volta la 500 miglia che aveva superato, nel 1956, guidando una magnifica
vettura costruita da
Andy Granatelli detto “Mister 500”.
Purtroppo una serie
di contrattempi incresciosi creati dall’incapace “zar” dello
Speedway, Tony George, una guerra fredda inscenata contro il
magnate di
Chicago, Jerry Forsayte, che aveva creato anche la serie
( Champcar, ndr.).
La sorte del Colosseo d’acciaio diventava nebulosa negativa bisognosa di un
polso deciso, specie dopo le patetiche ricerche, con la candelina miracolosa,
onde raccapezzare i 33 concorrenti per la gara.
Il primo tempo del
filmato s’arresta qui per ospitare un capitolo negativo, assurdo,
fatto di liti interne, cambi di posizioni e regolamenti non attuati, proprio col
giungere
del centesimo anniversario del catino che risente della perdita di interesse,
forza
d’attrazione della
massa pagante e l’assenza quasi totale dei tifosi alle prove
di qualifica; ma
finalmente un cervello dello speedway s’e’ svegliato suggerendo
alla padrona
signora Hulman (moglie del creatore dello speedway
Tony Hulman)
di sconfessare il lungo baccanale rombante fatto di festival, serate di alta
moda,
maritonette, pranzi luculliani, carri allegorici e via di questo passo, a
discapito delle prove
di qualifiche che si protraevano sino alla stanchezza.
La
decisione? Tutto quel tempo sciupato viene ridotto a tre sole giornate
operative.
Quando siamo entrati nel Colosseo d’acciaio, per seguire una fetta di
qualifiche,
abbiamo provato un tuffo al cuore osservando il “gigante” vuoto, e quelle sedie
fredde che facevano tanta pieta’. Soltanto il rombo delle macchine dilagava
nel catino confondendosi con i colori carnevaleschi e sagome aerodinamiche
ovviamente non elettrizzanti, malgrado gli sforzi della casa costruttrice
Dallara. Che vergogna osservare la qualifica passata
all’insegna di mancanza di folla, mentre i
soliti PR ritengono che domenica si potranno contare oltre 250 mila fan
dimenticando che le prove, un tempo, richiamavano più gente della corsa stessa.
Girovagando per i pit
si provava la sensazione di trovarsi in un mondo abitato da ultra-terrestri
giunti per la prima volta nel regno della velocita’, tecnologia,
competizione, sogni di gloria e di milioni. Una situazione incresciosa venuta
peggiorando durante i miei 44 anni di presenze, spesso in compagnia di mio
nipote Adriano, ottimo fotografo per settimanali italiani
(nella foto con Lino
Manocchia. Clicca qui per leggere altro).
Alle prove erano
presenti 4 “driver”, fiduciose di farcela nella classica gara
lunga 500 miglia, ovvero 200 giri dell’ovale di 2.5 miglia.
“Intanto partiamo
– ha
detto coraggiosamente l’inglesina Pippa Mann pur partendo
dalla 30ma piazza - Noi lotteremo a cuore aperto, attendeteci al traguardo e
brinderemo insieme”.
Alla prima sessione
di qualifica il semi sconosciuto, Ed Carpenter, figliastro
dell’ex duce di Indy,
T. George conquistava la pole position, sul colombiano
Carlos Munoz, per un 400esimo di secondo, seguito a ruota dal
venezuelano
E.J. Viso, poi Marco Andretti,
nipote di Mario, e quindi A.J. Almendinger, un
tempo
pilota del team “Indeck” del magnate Forsythe.
Deludente il
risultato di assi come Franchitti
(17mo) e Dixon (16mo)
del team
Ganassi e Will
Power, campione della serie, che vantano un palmares zeppo
di vittorie. Vano, altresi’, il tentativo dei 14 “rookie” alle prime armi con
Indy, senza dei quali
la corsa non sarebbe stata disputata… per mancanza di piloti.