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Rocky Marciano, La Leggenda in dialetto abruzzese

Il monumento di Rocky Marciano a Ripa Teatina

 

NEW YORK, 23.7.2014 - C’era una volta... Sembra l’inizio di un racconto, una fiaba per bambini, ma il soggetto è un altro che ci porta a rievocare un personaggio, d’interesse mondiale, di nome Rocco Francis Marchegiano, meglio conosciuto come Rocky Marciano, figlio di Pasqualina (Lena) Picciuto di San Bartolomeo in Galdo (Benevento), e Pierino, calzolaio emigrato da Ripa Teatina (Chieti), malato (aveva assorbito gas nella prima guerra mondiale in Europa).

Vi prego, non chiedetemi “chi era mai questo soggetto” che tanto scalpore ha creato nel mondo con le sue imprese pugilistiche, invitto super campione dei massimi, che un bel giorno ha varcato l’Oceano   onde conoscere la terra dei suoi avi.

Colui che divenne anche grande amico del cronista, merita essere rinverdito dalla sua penna, delle  virtù pugilistiche particolari e dettagli del suo coraggio, abilità e volontà racchiusi  in un corpo possente e sagomati sullo spirito battagliero di una collettività caparbia e laboriosa.

Sguardo pacifico, trascorreva parte della giornata tra cataste di giornali e riviste, commentando le “revue” negative con un sorriso  canzonatorio e parandosi con l’espressione ”chi vivrà vedrà”.

 

Per portare a termine la sua  preparazione per incontri importanti, aveva fissato un’abitazione insieme a mamma Lena  e papà Pierino, sulla vetta delle montagne del Katskill, nello stato di New York, dove sorgeva l’elegante “Grossinger Resort” che divenne, appunto, famoso per i sei mesi trascorsi colà dal campionissimo della boxe.

Noi, a volte,  durante la settimana  ci recavamo lassù conversando con colui che doveva diventare king dei  pesi massimi. Impiegavamo due ore di marcia sostenuta a bordo della nostra Cadillac RAI, per arrivare nel “castello magico”, come Rocky soleva chiamare la sua “oasi di pace”, circondata  prodigiosamente dal verde dei boschi. Uno scenario da mille e una notte che Rocky riforniva con tante notizie, annaffiate da un simpatico dialetto abruzzese. Rocky aveva un vizio: ogni volta che mi stringeva la mano, in segno di saluto,  la ritiravo ridotta come un … salsicciotto.

Papà Pierino un giorno mi disse: ”Ti insegno io  come si sconfigge un campione”. Misi in azione il suggerimento con effetto positivo, che sorprese il “signor Marchegiano” il quale disse: ”Papà ti ha insegnato il trucco, Mo nun vale chiu’ la scummesse”. Poi cambiò  soggetto e confessò: ”Ije vuleve addivenda’ nu player de la palla base, ma nun tengo fortune”. (l’italo-americano fu scartato perchè aveva gli avambracci corti per picchiare la palla con la caratteristica mazza; n.d.r)

 

I PRIMI PUGNI

Stanco di fare il guidatore  di furgoni del carbone e del ghiaccio, accettò l’invito dello zio a recarsi in palestra dove lo aspettava un giovane pugile negro. Incassò 30 dollari dopo  aver mandato all’angolo l’avversario semi dormiente. Quello fu il primo approccio con i guantoni, che lo avrebbero condotto al titolo mondiale dopo 37 vittorie consecutive, una più esaltante dell’altra.

Rocky aveva un carattere mite, davvero buono, così lontano dalle smargiassate dei pugili dell’epoca. Quando gli chiedevamo ”chi vincerà questo o quello incontro”, abbassava il capo e affermava  soltanto: “Vincerò, questo è tutto, il resto si vedrà”.

Cortese, sveglio, umorista, Rocco il campione ebbe una carriera difficile, dura, però i migliori  pugili  che gli si  presentarono finirono tutti al tappeto.

Un giorno il  manager Al Weill gli disse: “Combatterai contro Joe Louis”.

Ebbe un tonfo al cuore. Il “brown bomber” era stato l’idolo di Rocky sin dal principio e lo seguiva sempre alla radio. Durante il match, più volte Rocky abbracciò  “l’amico ” sussurrandogli all’orecchio di andar giù, di non attaccare.

Ma Joe era troppo orgoglioso per finirla in quel modo. Al termine dell’incontro Rocky si recò nel camerino e  scoppiò a piangere, poi  entrò nel camerino di Joe Louis, lo abbracciò, gli chiese scusa ed ebbe per tutta risposta: ”Rocky, ma che hai forse un ferro di cavallo nei guanti?”.

Due occhi grandi così, nei quali si capiva una “dritteria” addirittura fuori del normale, quando il nostro Marciano ci squadrava con la sua aria sorniona.

Affettuosamente guidato da mamma Lena, preferiva le pietanze tipicamente abruzzesi e le tagliatelle alla chitarra.

Rocky aveva una fissazione: “Debbo andare in Italia per scoprire il futuro Marciano – diceva - Tu conosci un buon peso massimo? Hai trovato il suo nome? Dove vive in Abruzzo? Perchè io parlo solo abruzzese”.

Per la cronaca, esistevano dei buoni  pesi massimi come Gino Bonvino, Giulio Rinaldi, Francesco Damiani, ma gli organizzatori non se la sentivano di porre quella “merce umana” sotto l’uragano pugilistico del più forte atleta esistente.

 

ARRIVA IL TITOLO MONDIALE

Con un curriculum d’oro, la Roccia di Brocktown (Massachusset, Usa) il 23 Settembre 1952, in quel di Filadelfia, finalmente trovò il titolo mondiale che aveva sognato da tempo.

Non fu un match particolarmente interessante. Il campione  Joe Walcott conosceva la potenza del nostro rappresentante e progettò un incontro tutto studiato, mentre Rocky ammorbidiva per otto round col suo strano ma deciso modo di combattere, onde stendere l’avversario che gli stava dinanzi. Jersey Joe Walcott gli diede filo da torcere e Rocky se la vide brutta con il naso spaccato (non gli permetteva di respirare normalmente) fino a che nel 13mo round,  con un destro rimasto nella storia del pugilato mondiale, spedì Walcott a saggiare il duro del canovaccio per svegliarsi dieci minuti più tardi.

Le insistenze della moglie Barbara affinchè appendesse i guantoni al classico chiodo, del suo manager ed il perentorio avviso del medico curante, convinsero Rocky a “chiudere” per sempre con il palco cordato, la folla elettrizzata ed i guadagni enormi. Ormai il suo setto nasale gridava la “resa” e nel 1956, dopo 49  incontri, tutti vittoriosi per K.o., appese i guantoni.

 

TRAGICA FINE

Il cronista si trovava  in breve vacanza  con la famiglia  in una spiaggia del Connecticut  allorchè giunse la notizia del decesso del campione dei  pesi massimi. Di solito ci tocca accogliere queste notizie da un punto di vista strettamente  giornalistico, ma Rocky era un amico personale, abruzzese come me. Così ci sedemmo di fronte alla vecchia macchina da scrivere con nel cuore l’amarezza di aver perduto un caro amico, una brava persona, un grande campione.

Rocky perì per circostanze drammatiche. Il giorno prima del suo quarantaseesimo compleanno precipitò assieme al pilota del suo Cesna  172 a Newton, nello Iowa, durante un volo diretto  a De Moines, condotto in condizioni atmosferiche definite proibitive dal pilota stesso.

Il World Boxing Council ha votato approvando all’unanimità il progetto per la costruzione di una statua in onore dell’imbattuto campione del mondo dei pesi massimi: ”Rocky Marciano, idolo consegnato alla posterità non solo negli Stati Uniti, ma in ogni angolo del Globo”. Questa è la leggenda del combattente del palco cordato che rimarrà indelebile nei secoli.

C’era una volta... Sembra l’inizio di un racconto, una fiaba per bambini, ma il soggetto è un altro che ci porta a rievocare un personaggio, d’interesse mondiale, di nome Rocco Francis Marchegiano, meglio conosciuto come Rocky Marciano, figlio di Pasqualina (Lena) Picciuto di San Bartolomeo a Gualdo, e Pierino, calzolaio emigrato  da Ripa Teatina

 

 

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