GIULIANOVA, 25.4.2013 -
Ho incontrato il
giuliese Egidio Casati e
il Priore del Monastero
Santo Volto di
Giulianova Padre Felice,
per raccontare con
un’intervista il loro
impegno a Butembo, una
città di 650.000
abitanti a nord della
Repubblica Democratica
del Congo. Ultimamente
giulianovailbelvedere.it
ha avuto l’occasione di
pubblicare diversi
articoli sull’ultima
missione portata a
termine dal monaco
missionario e dal suo
collaboratore, che ha
donato al Monastero St.
Benolt di Butembo un
impianto fotovoltaico e
un fuoristrada Toyota.
Per ragioni di spazio
abbiamo deciso di
pubblicare questa
conversazione in due
puntate, cercando di
creare interesse nel
lettore su temi
complessi, ma importanti
e degni di una giusta
attenzione. La prima
parte è incentrata sulla
missione in se’, la
seconda sulla realtà del
Congo e dell’Africa in
generale alla quale
Giulianova si avvicina
attraverso l’opera e la
visione dei protagonisti
di questa esperienza.
Prima Parte
Padre Felice, come
nasce questo rapporto
tra il Monastero Santo
Volto di Giulianova e la
città di Butembo, dove
da qualche anno è sorto
il monastero benedettino
di St. Benolt?
Padre Felice:
Questa è una storia che
io non ho vissuto
direttamente, ma che
conosco abbastanza bene:
il nostro Don Fortunato
Radicioni, durante la
fuga verso Butembo su
una camionetta in cui
erano scortati il
Cardinal Angelini e
altri religiosi, ha
incontrato una suora di
nome Fortunata.
Cominciarono a parlare
di un possibile innesto
del mondo benedettino in
quella città, per
portare benessere.
Questa suora prese
veramente a cuore la
cosa, tanto da
cominciare a formare dei
giovani, di cui due sono
sacerdoti e altri sono
prossimi al sacerdozio.
Da lì è partito tutto il
resto: sempre più
giovani desideravano
realmente cominciare a
vivere l’esperienza
monastica e così si è
costruito anche lì un
piccolo monastero.
In cosa consiste la
vostra azione? Si
inserisce solo
nell’ambito sacerdotale
o è rivolta alla
comunità tutta a più
livelli?
Padre Felice:
Sicuramente la nostra
azione si esplica a più
livelli. Portare cultura
significa portare
benessere, significa
migliorare la qualità
della vita, con tutti
gli strumenti che sono
necessari, che cerchiamo
di realizzare attraverso
i due verbi cari a noi
Benedettini: allevare e
coltivare. Come è
avvenuto nei secoli
passati in molte nazioni
europee, così anche in
Africa coltivare e
allevare inizialmente
significa migliorare la
qualità della vita
nell’ambito familiare,
incidendo sui disagi più
evidenti: la fame, la
mancanza di acqua, la
mancanza di medicine e
di tutto quello che
serve in modo
indispensabile e in
molte circostanze a
salvare la vita.
Egidio, ci racconti
come ti sei avvicinato
alla collaborazione con
il Monastero Santo Volto
e la missione a Butembo?
Egidio:
All’età di sedici anni
ho conosciuto mia
moglie, che ne aveva
tredici, proprio in
questa chiesa, perché
era l’età in cui
cominciavamo a cantare
nel coro. Qui, infatti,
da oltre trent’anni
esiste una scuola
cantorum, che ha
allevato un folto gruppo
di amici, di grandi
amici, figli di questo
Monastero, perché dal
giorno in cui ci siamo
insediati loro sono i
nostri padri spirituali:
hanno sempre tenuto a
battesimo ogni nostra
azione e ogni nostro
movimento, come
l’iniziativa che ci ha
portato a Butembo o
l’associazione onlus
“Insieme per costruire”,
che vive grazie al 5 per
mille e alle donazioni
della chiesa.
“Insieme
per costruire” è
l’associazione che vi ha
aiutato ad acquistare il
fuoristrada Toyota?
Egidio:
Sì. Grazie a “Insieme
per costruire” e alla
buona volontà della
gente che abita qui
intorno al monastero
siamo riusciti, con non
poche difficoltà, a fare
questo container con una
macchina Toyota, una
“combinata” per lavorare
il legno, un generatore
e un impianto
fotovoltaico. Ecco,
quindi, la mia nascita è
qui dentro e con gli
anni è cresciuta
l’iniziativa di Don
Fortunato, grazie alla
quale possiamo aiutare
tante persone che
abitano a Butembo.
Padre Fortunato:
Virgilio è venuto in
modo del tutto
volontario. Eravamo in
tre, perché con noi è
venuto un tecnico
professionista, e
abbiamo vissuto insieme
e realizzato questo
impianto fotovoltaico,
che ci ha resi
consapevoli di quanto
sia importante in Africa
l’energia.
Potete raccontare
cosa ha significato per
i monaci di St. Benolt
ricevere l’impianto
fotovoltaico?
Egidio:
All’accendersi delle
prime lampade, le prime
parole che ci hanno
detto sono state: “ci
avete levati dalle
tenebre”. Tale è la
grandezza di questa
piccola cosa che noi
abbiamo fatto dando loro
la luce. Pensate che lì,
essendo l’equatore, fa
buio alle sei e mezza di
sera e grazie a un
generatore potevano
avere la luce fino alle
21, non oltre per l’alto
consumo di gasolio. Alle
21, quindi, per arrivare
in stanza facevamo la
corsa o usavamo le
torce. Capite il perché
di quelle parole? “Ci
avete levati dalle
tenebre”.
Padre Felice:
Un aspetto che forse a
noi sfugge è che l’avere
più tempo di luce
aumenta la possibilità
della socialità e
dell’incontro: adesso
alle 21 possono ancora
incontrarsi per motivi
religiosi, per motivi
sociali, per studiare.
Per fare tutto ciò che
prima era per loro
impossibile.
Sarà possibile
estendere l’opportunità
di avere l’energia
elettrica anche al resto
della città di Butembo?
Padre Felice:
Nella città di Butembo,
che vanta 650.000
o 700.000 abitanti,
consorzi di famiglie
riescono ad acquistare
piccoli generatori
giapponesi, che costano
molto, come tanti beni
di prima necessità. Nel
cuore, pertanto, coviamo
un desiderio: far sì che
anche l’ospedale, dove i
medici, i paramedici,
gli infermieri lavorano
con tanto zelo e tanta
volontà, ma senza
energia elettrica e in
condizioni davvero
difficili.
A
tal proposito mi è
sembrato di capire che
avete già discusso di
questo progetto con il
sindaco di Butembo,
giusto?
Padre Felice:
Sì, è vero. A Butembo
non esiste una rete
elettrica che possa
consentire la diffusione
dell’energia prodotta
dagli impianti
fotovoltaici per tutta
la città. E’ per questo
che mi sto informando
riguardo alla
possibilità di
partecipare chiedere
fondi all’Unione Europea
e per questo dovremo
adoperarci per cercare
come collaboratore
qualche ente e, se non
sarà il Comune di
Giulianova, dovremmo
cercarne qualchedun
altro. I fondi saranno
gestiti da loro,
attraverso gli enti
preposti a tale compito.
La zona è ricca di fiumi
e di cascate e il nostro
obiettivo è quello di
poter ricavare energia
idroelettrica che possa
servire l’intera città e
consentire l’irrigazione
dei campi, tra le tante
attività legate
all’elettricità.
Per il monastero che
sistema avete
utilizzato?
Padre Felice:
Il sistema da noi
adottato si chiama
“Isola”: l’energia
elettrica che viene
prodotta o viene usata o
viene accumulata in base
a questo procedimento:
fermo restando che la
prima fonte è sempre il
pannello fotovoltaico,
quindi l’energia
diretta, se questa non
dovesse bastare,
subentrano le batterie.
Se anche l’energia delle
batterie dovesse
scendere sotto una certa
soglia, automaticamente
entra in funzione il
generatore, che finora
non è mai partito a
conferma che l’intero
impianto funziona
perfettamente.
Le energie
alternative possono
essere il futuro
dell’Africa?
Padre Felice:
l’energia prodotta dal
sole o dall’acqua o dal
vento è sicuramente il
futuro. Ormai il
petrolio ha fatto la sua
epoca. Io penso che in
tempi relativamente
brevi, anche se il
“breve” qui dipende da
coloro che dominano la
politica mondiale, le
famose lobby che
allungano le mani su
tutto, anche sull’acqua.
Lasceranno il petrolio e
si butteranno
sull’acqua: già ora una
bottiglia di acqua
minerale costa 10.000
franche congolesi,
equivalenti a 1 dollaro,
che è tantissimo se
pensiamo che uno
stipendio medio menisle
è di 40 o 50 dollari.
Questo significa che o
bevi o mangi.
Abbiamo parlato dei
benefici legati
all’energia elettrica.
Ora, quali sono i
vantaggi di avere
un’auto, o meglio un
fuoristrada?
Padre Felice:
Cambia la vita. Io sono
stato anche nel Congo
Brazza (n.d.r
Brazzaville), in un
villaggio a venti o
trenta chilometri da
Ponte-Noire, dove ci
sarebbe stato il
vescovo. Per
quell’occasione si sono
radunati centinaia e
centinaia di persone,
gente che ha camminato
giorni e giorni per
arrivare puntuali quella
mattina lì, alle 10, e
ho notato che in tanti,
tra uomini e bambini,
erano storpi senza
spiegarmi come mai.
Questa gente cade dagli
alberi, sui quali si
arrampica arrivando fin
su alle cime altissime,
per raccogliere anche
l’ultimo frutto, fino a
precipitare giù. Bene,
non c’erano e non ci
sono i mezzi per
trasportarli fino alla
città. Nel caso della
Toyota, i ragazzi
possono trasportare il
legno, grande ricchezza
del Congo, per qualità e
quantità, e lavorarlo
nella Scuola dei
Mestieri da noi fondata
mesi fa.
La
Scuola dei Mestieri è
una falegnameria: come
procede? Quali sono gli
altri progetti per
Butembo e per la
comunità del Santo Volto
di Giulianova?
Padre Felice:
Di una scuola di
falegnameria è fatta
abbastanza bene, abbiamo
visto diversi lavori che
hanno realizzato questi
ragazzi, ma fino a poco
tempo fa le macchine di
un certo livello non
potevano funzionare per
la mancanza di energia
elettrica. Da adesso,
però, funzionerà anche
una macchina chiamata
“combinata”, che
consente di fare molti
lavori in tempi molto
più brevi.
Quali sono i prossimi
progetti che volete
realizzare a Butembo?
Padre Felice:
Ci sono altre scuole che
vorremmo realizzare,
come la scuola di
informatica. In
cantiere, poi, vi è la
creazione di un’aula
multimediale, che si
propone lo scopo di
facilitare un “ponte”
culturale tra la
comunità di Butembo e la
comunità di Giulianova,
mediante lezioni
virtuali a distanza. E’
una meta che non
richiede ingenti
quantità di denaro, ma
solo buona volontà e
collaborazione anche da
parte delle
amministrazioni locali.
Il Comune di
Giulianova si è mostrato
favorevole a
intraprendere azioni per
creare un gemellaggio
con la città di Butembo?
Padre Felice:
A dire il vero, a un
iniziale entusiasmo da
parte del Sindaco non è
seguita alcuna azione
per avviare questo
gemellaggio, che
potrebbe portare alla
città di Giulianova
considerevoli benefici. |