GIULIANOVA, 26.4.2013 -
Ho incontrato il
giuliese Egidio Casati e
il Priore del Monastero
Santo Volto di
Giulianova Padre Felice,
per raccontare con
un’intervista il loro
impegno a Butembo, una
città di 650.000
abitanti a nord della
Repubblica Democratica
del Congo. Ultimamente
giulianovailbelvedere.it
ha avuto l’occasione di
pubblicare diversi
articoli sull’ultima
missione portata a
termine dal monaco
missionario e dal suo
collaboratore, che ha
donato al Monastero St.
Benolt di Butembo un
impianto fotovoltaico e
un fuoristrada Toyota.
Per ragioni di spazio
abbiamo deciso di
pubblicare questa
conversazione in due
puntate, cercando di
creare interesse nel
lettore su temi
complessi, ma importanti
e degni di una giusta
attenzione. La prima
parte (pubblicata
ieri, Giovedì 25 aprile), è incentrata sulla
missione in se’, la
seconda sulla realtà del
Congo e dell’Africa in
generale alla quale
Giulianova si avvicina
attraverso l’opera e la
visione dei protagonisti
di questa esperienza.
Seconda Parte
Com’è visto il bianco
nel continente africano,
che ancora oggi subisce
gli effetti della
colonizzazione
occidentale?
Padre Felice:
C’è un detto dell’Africa
che recita così:
“attento al bianco, ti
succhia l’anima”, dove
l’anima sta per libertà,
capacità di intendere e
di volere.
Egidio:
Lì il diverso è il
bianco e i bianchi sono
facilmente
identificabili come
“banca che cammina”.
Padre Felice: … Un
po’ è per vera necessità
e un po’ è perché hanno
l’illusione che portiamo
soldi, che in parte è
anche vero.
In alcune realtà
africane, come quelle
eritrea ed etiope, le
donne hanno l’obbligo di
arruolarsi nell’esercito
al pari degli uomini. Le
due vie di fuga per loro
sembrano essere il
matrimonio e la
maternità. In Congo la
donna che ruolo ha come
figlia, moglie e madre?
Padre Felice:
La donna è moglie e
madre, custode della
casa, ma soprattutto è
lavoratrice. L’uomo può
lavorare o non lavorare.
Non esiste il rapporto
di lavoro, in pochi
lavorano per qualcuno,
quindi bisogna
arrangiarsi, ossia
trovare quel minimo
indispensabile perché
all’ora di pranzo e
all’ora di cena si possa
mettere qualcosa sulla
tavola. E questo spetta
alla donna e ai figli, a
cominciare dai più
piccoli, i quali
trasportano biciclette
cariche di tutto.
E i bambini-soldato?
Padre Felice:
In Congo non ci sono. I
bambini-soldato sono una
realtà tipica della
Sierra Leone, oltre che
di qualche altra zona
dell’Africa. In passato
Pavarotti aveva
finanziato una
struttura, chiusa, per
ospitare la rieducazione
dei bambini, testimoni
di ogni tipo di violenza
legata alle guerre che
si consumano nelle zone
di confine.
A proposito di guerra
e di violenza, sappiamo
come lo stupro sia
l’arma che più mortifica
il genere femminile. La
donna viene lacerata
nella sua dignità, come
donna e come madre.
Padre Felice:
E’ vero e purtroppo se
ne parla poco. Esiste
una documentazione molto
puntuale di un
giornalista coraggioso,
che è andato in queste
zone del Congo
raccogliendo
testimonianze sicure,
che raccontano di queste
violenze sulle donne. Un
po’ sono i soldati
stessi un po’ gli uomini
che fuggono dai paesi
limitrofi.
La Repubblica
Democratica del Congo
sta vivendo la più
grande crisi umanitaria:
oltre alle guerre civili
interne, che vede il
“Movimento 23 Marzo”
opporsi al Governo, è
interessata dall’ondata
di profughi che fuggono
dalla Repubblica
Centrafricana. Cosa puoi
dirmi a riguardo?
Padre Felice: E’
vero. Nessuno fa niente,
questa è la realtà. Di
fronte a queste
situazioni, che sono
enormi, per le
conseguenze che
producono, lo Stato è
inerte.
Voi, come comunità
monastica e come
missionari, questi
problemi li vivete
all’interno di Butembo e
della realtà in cui
siete inseriti? Ricevete
persone che chiedono
aiuto?
Padre
Felice: La
triste assuefazione è
diventata talmente
cronica, che si ha
l’impressione che non si
possa far nulla. La
mancanza di ordine e
l’assenza di una minima
struttura giuridica
costringono la gente ad
arrangiarsi. Se si pensa
che a Kinshasa, una
metropoli di dieci
milioni di abitanti e la
città più caotica del
mondo, esistono ancora i
bambini demoni e le
bambine streghe.
Di che si tratta?
Padre Felice:
Quando succede qualcosa
all’interno di una
famiglia, la colpa è del
più piccolo o della più
piccola tra i figli: il
Male o il Demone è
entrato attraverso il
loro corpo. La
fustigazione è l’atto
per cui attraverso il
sangue il Male dovrebbe
essere espulso, ma se
ciò non avviene si
ricorre all’abbandono
dei bambini. Mio nipote
ha adottato due bambini,
due fratellini cacciati
dalla stessa famiglia,
prima l’uno e poi
l’altro, proprio perché
ritenuti demòni.
A proposito di
adozioni. Ritenete che
siano auspicabili o che
sia meglio per i bambini
crescere in ambienti più
adeguati nel loro paese
di origine?
Padre Felice:
Ci sono pochissime
strutture. A Kinshasa
sono migliaia i bambini
abbandonati e pochissime
strutture per ospitarli.
Alcune sono sorte grazie
alla buona volontà di
qualche sacerdote, ma
riescono a ospitare solo
un centinaio di
ragazzini. L’assenza di
un Ministero
dell’Interno o di un
ente che li assista fa
sì che si viva solo
della carità e della
buona volontà della
gente. All’affidamento
si preferisce
l’adozione: con il
primo, infatti, le
famiglie affidatarie
cacciano i bambini
perché demoni, mentre
l’adozione consente di
rimanere per sempre e a
pieno titolo con i
genitori adottivi.
Secondo me c’è una
cultura un po’ negativa
sulle adozioni, anche
perché noi in chiesa ne
parliamo poco.
Cosa mi puoi dire del
sistema scolastico e del
tipo di istruzione che
ricevono i bambini e i
ragazzi del Congo?
Padre Felice:
Al 90% è privato e si
paga: per frequentare
una scuola elementare si
paga 50 dollari, per una
scuola successiva 70 o
80 dollari e per le
scuole superiori fino a
200 dollari, una cifra
enorme che per qualcuno
è poco meno del reddito
di un anno. L’istruzione
riguarda prevalentemente
l’agricoltura. Da poco
si è cominciato a
studiare la medicina,
anche se in molti
preferiscono andare
all’estero per una
migliore formazione,
nonostante poi la
scarsità di mezzi e
strumenti che si trovano
a fronteggiare una volta
tornati in patria, che
mette a dura prova le
conoscenze acquisite.
E le Università
esistono?
Padre Felice:
poche, pochissime.
Integrazione o
interazione tra i
popoli?
Padre Felice:
Io penso che non esista
“o … o”, perché le due
cose possono camminare
insieme. Personalmente
preferisco
l’interazione. Lavorando
a Butembo insieme ai
ragazzi ci siamo
dimenticati del fatto
che fossimo bianchi
e neri: eravamo persone
che collaboravano per lo
stesso fine. La povertà
e il colore non si
identificano con
l’inferiorità, anzi la
mancanza di mezzi aguzza
l’ingegno. Essi
sopravvivono grazie alla
forza della volontà e
noi possiamo dare
l’input per migliorare,
ma poi si gestiscono da
soli.
Egidio:
Sono persone che sanno
trovare la soluzione ai
problemi pur avendo
pochi mezzi.
Tu, Egidio, come uomo
di fede e parrocchiano,
e tu, Padre Felice come
sacerdote che officia
messa, cosa avete
portato a casa
dell’esperienza in
Africa e cosa sentite di
trasferire nelle
funzioni a cui assolvete
quotidianamente? Vi può
essere un sincretismo a
doppio senso?
Padre Felice:Non
sempre è ripetibile ciò
che vediamo giù. Anche
ciò che suscita
ammirazione è emozione.
Noi abbiamo fatto una
cerimonia, perché
quattro novizi
prendevano i primi voti,
che è iniziata alle
dieci ed è finita
all’una e trentacinque
minuti.
Egidio:
…E io non ho mai chiuso
un occhio, non mi son
mai distratto, come
spesso avviene qui da
noi. Ti affascinano,
vedi la gente che canta,
che partecipa alla
messa, vedi l’umiltà.
Vedi la gente danzare.
Parliamo della danza
e del canto…
Padre Felice:
Loro hanno un ritmo
dentro, un ritmo sacro.
Se lo facciamo noi
“balbettiamo”. La loro
ricchezza è che anche
nella povertà riescono
ad esprimere una
religiosità vera,
autentica e piena.
Gioiosa. Per loro
religione è
aggregazione, è sì
culto, ma un culto che
crea davvero comunità.
Hanno una fede che
vivifica la loro vita.
Egidio:
Ti racconto un aneddoto.
Le prime notti che
stavamo giù, alle cinque
del pomeriggio
cantavano, alle sei
cantavano e strillavano.
Così per tutta la notte.
Ho chiesto: “ma qua è
sempre festa?”. Mi hanno
risposto che quando
muore qualcuno l’intera
comunità si stringe
attorno ai familiari e
canta fino a quando non
avviene la sepoltura del
defunto. Pregano e
cantano.
Padre Felice:
Anche l’accoglienza alla
vita: il fare tanti
figli per loro è un modo
per esprime l’amore
verso la vita. Lì
l’aborto non esiste.
Egidio, tu ami la
moto. Farai, se non
l’hai già fatto, un
viaggio in Africa sulle
due ruote?
Egidio:
Sarebbe fantastico,
forse per me è tardi, ma
sarebbe fantastico. Giù
la moto non è tanto un
mezzo di trasporto, come
può essere per me che ci
vado in giro per piacere
e per evitare il
traffico, lì è un mezzo
di sopravvivenza. Ci
fanno tutto.
Padre Felice:
tu riesci a immaginare
una suora che va in
moto? Lì è l’unico mezzo
di trasposto.
Secondo te sarebbe
auspicabile che tutti
gli stati che con
l’Africa si sono
arricchiti e continuano
ad arricchirsi
cominciassero a
pacificare le
popolazioni che hanno
finora diviso? O ci son
troppi interessi in
gioco?
Padre Felice:
Ci vorrebbe una vera
intelligenza non solo
religiosa, ma politica
ed economica, per
cercare di restituire il
prima possibile e il più
possibile all’Africa
tutto ciò che le abbiamo
rubato per secoli e
stiamo ancora rubando.
Oppure l’Africa esplode.
Esplode significa che la
costringiamo a
comportarsi in un modo
in cui noi non vorremmo,
ma in cui saremmo
inevitabilmente la
causa. Questa è la
strada e non c’è alcuna
alternativa. Negli anni
’50 il Congo aveva una
riserva aurea da fare
invidia agli Stati Uniti
d’America e oggi è una
delle terre più povere
del mondo. I Belgi da un
punto di vista politico
hanno distrutto e rubato
tutto quel che c’era, ma
in ambito religioso
hanno realizzato cose
meravigliose.
Egidio:
l’unico tratto di strada
asfaltato si trova al
centro di Beni ed è
stato a opera dei
Cinesi.
Per concludere questo
viaggio nella vostra
Africa, come si può
aderire alle missioni?
Sono aperte a tutti?
Egidio:
La caratteristica di
questa missione che
parte da Giulianova è
che chi invia le cose a
Butembo è certo che
arrivi a destinazione.
Padre Felice:
Innanzitutto noi
lanciamo l’invito alla
comunità giuliese di
aiutare le missioni e
l’Associazione onlus
“Insieme per costruire”,
donando il 5 per mille:
il c.c.p. è 82869082.
Per quanto riguarda la
missione in sé, è
un’esperienza da
concordare, concordare
cosa si va a fare, che
significa anche vedere e
prendere coscienza di
una realtà. Una volta
che si torna, però, si
viene presi dal Mal
d’Africa. |