Pescara,
28.7.2012 (Numero 8) -
La vozza è un orciolo biansato usato per
conservare vino, olio ed acqua. Così recita il
vocabolario Abruzzese e Molisano di Ernesto
Giammarco (Roma 1968). Questo preciso impiego
domestico mi è stato confermato anche da molti
contadini e casalinghe intervistate.
La Vozza
di sant’Antonio,
invece, come mi ha puntualmente informato il
ceramista di Rapino Andrea Bontempo (1905-2001,
veniva usata solo per conservare l’acqua da
portare in campagna, essendo un orciolo a bocca
stretta, comodo per il trasporto dei liquidi.
La morfologia della Vozza di Sant’Antonio
potrebbe farsi risalire ad alcune hydrie
protoattiche di ellenica memoria.
Mancano sufficienti notizie letterarie su questo
recipiente tipico dell’arte vascolare abruzzese,
nato nella bottega di una scuola piuttosto
circoscritta: quella di Rapino.
Anche l’iconografia difetta di immagini, pur
essendo la vendita della vozza abbinata ad una
festa rinomata: quella di Sant’Antonio da Padova
di Serramonacesca.
Contrariamente a tutte le tipologie a forma
chiusa famose per le decorazioni dipinte, la
Vozza di Sant’Antonio si distingue per una
valenza decorativa a bassorilievo, ottenuta da
stampo, con particolari processi di
serializzazione.
E’ l’unico recipiente abruzzese, infatti,
decorato con un bassorilievo antropomorfo, che
riproduce il santo con il bambino in braccio,
opera plastica collocata sotto il versatorio.
Stilisticamente, il Santo è reso in posa
statica. Il volto del taumaturgo, dallo sguardo
insondabile, si rifà, in generale, alla
tradizione della spontanea coroplastica
popolare, che, a volte, non riesce a rispettare,
per mancanza di competenze accademiche dei
plasticatori, i registri anatomici.
La prima realizzazione della Vozza di
Sant’Antonio nella bottega dei Bontempo, di
Rapino, si deve a Lorenzo senior (1838-1921).
Sembra utile e opportuno, a questo punto,
indicare una traccia di derivazione di questo
contenitore popolare.
Presumibilmente, Lorenzo Bontempo senior
potrebbe aver attinto ispirazione dagli orcioli castellani
settecenteschi dipinti con la figura di
sant’Antonio dei quali un esemplare
significativo, molto vicino alla Vozza di
Sant’Antonio, si conserva nel museo di Atri
(collez. Bindi).
L’archetipo di Rapino come sostenne, in diverse
interviste, il mio informatore Andrea Bontempo,
non venne mai rinnovato. La ripetizione iconica,
però, garantisce, ne sono convinto, la validità
di questo oggetto che vanta altre tipologie
morfologiche, di altre scuole, dotate di
bassorilievi. Cito per tutte l’orciolo del museo
di Cerqueto di Fano Adriano, arricchito da
simbologie tridimensionali eteromorfe legate ai
riti della Passione.
Ovviamente, non rientrano in questo intervento
le acquasantiere riccamente incorniciate, né le
ceramiche a forma aperta (delle quali ricordo il
bacile di produzione anversana del museo di
Deruta, studiato da Van Verrocchio).
Nonostante la singolarità decorativa espressa
con il rilievo e non con la pittura la Vozza
di Sant’Antonio non ha incontrato il favore
commerciale avuto dal boccale di san Rocco,
boccale dipinto venduto alla festa di san Rocco
di Roccamontepiano, il 16 agosto e della
campanella di Sant’Egidio,con l’immagine dipinta
della Madonna del Ponte, realizzata solo sulle
campanelle più grandi, vendute a Lanciano,il 31
agosto.
Oggi che il mutamento corre rapido come non mai
occorre conoscere il passato e valutare cosa
salvare e ricordare delle realtà manifatturiere
rimaste finora troppo in ombra e
significativamente staccate dal mondo per il
quale erano state create.
A proposito della Vozza di Sant’Antonio,
ricostruita dal prof. Amato Bontempo, Rino Panza
ha scritto; “un recipiente del mondo contadino,
che veniva dato per scomparso e che adesso,
invece, può riprendere il suo posto nel panorama
della ceramica abruzzese “ (cfr. La ceramica
di Rapino e i Bontempo, Edizioni
Ferentum, 1994 ). |