Pescara,
8.9.2012 (Numero 14) -
La
ceramica aulica abruzzese è apprezzata per le
sue qualità artistiche e manifatturiere. Sua
caratteristica principale è l’istoriato, ossia
la capacità di raccontare episodi storici (sacri
e profani) attraverso accurate figurazioni.
Diversi ceramologi si sono dedicati, in vario
modo, allo studio della ceramica aulica
abruzzese.
Abbastanza trascurata, invece, è stata la
ricerca sulla ceramica popolare, tra i cui
decori primeggia il fioraccio, sempre dipinto in
stile compendiario.
“E’
definito compendiario quello stile di
decorazione della maiolica che, in relazione
all’ormai esausto gusto dell’istoriato
rinascimentale, presenta rapide e sobrie
figurazioni di tono impressionistico” (cfr.
Franceschilli- De Pompeis, L’antica maiolica
di Torre de’ Passeri, Pescara,
Tontodonati, s. d, p.12.).
Anche il fioraccio è dipinto con soluzioni di
tono impressionistico. Sobrietà e semplicità
sono le sue caratteristiche figurative
principali.
Tutte le scuole ceramiche abruzzesi, a
cominciare da Castelli e Rapino, da quando la
chimica ha fornito il colore rosso, hanno
realizzato il fioraccio con tratto spigliato,
con policromia squillante e con la rosa rossa.
Nelle ceramiche più antiche il fioraccio è reso
con carattere compendiario, ma la rosa non è
rossa e la sua volumetria è aspra.
Figurativamente per fioraccio si intende un
bouquet di fiori campestri composto da rose
selvatiche, disposte al centro, sorrette alla
base da anemoni di colore arancione e da
margherite gialle, mentre nell’alto della
composizione fanno da contrappunto rametti di
bocca -di- leone, di nasturzi e di fresie, che
si dirigono, a varie andature, verso le
filettature.
Nelle produzioni più tarde, cioè da quelle
dipinte dopo il Settecento, il fioraccio è reso
con colori primari: rosso- blù- giallo. Le sole
tonalità binarie rinvenibili nella composizione
sono il verde schietto del fogliame, il violetto
dei nasturzi, l’arancione degli anemoni e il
tané di qualche rametto legnificato ottenuto
facendo ricorso al manganese diluito.
Attualmente, i colori di base impiegati sono
sette: tre primari e quattro binari,
campeggianti su fondo bianco o biancastro.
La
resa manifatturiera del fioraccio è talmente
veloce che potrebbe individuarsi in questo
motivo decorativo una forma di
neocompendiario, espressa senza
tentennamenti e senza
ripensamenti.
Il
fioraccio dal tratto sobrio e veloce sboccia
dappertutto.
Lo
si trova, infatti, sia sulla ceramica a forma
aperta (piatti e catini), sia sulla ceramica a
forma chiusa (orcioli e brocche ).
Delle più belle invenzioni popolari resta
sconosciuto il nome dell’autore. Anche il nome
del decoratore-inventore del primo fioraccio
resta nell’anonimato.
Secondo Lauretta Colonnelli (cfr. Corriere della
sera, 13 maggio, 2001,p .51) , invece, il
ceramista inventore del fioraccio è stato
Gesualdo Fuina (1755-1822). Ci sono, però,
ceramiche con il fioraccio antecedenti la data
di nascita di Fuina, come attestano alcuni
esemplari del museo di Faenza e di Pesaro, dove
la rosa è ottenuta dall’ impasto di giallo
arancio misto a bruno manganese, perché la
chimica non aveva ancora fornito il rosso
ceramico. Colore abbastanza usato da Fuina,
tanto da essere ritenuto il ceramista inventore
del rosso e del fioraccio.
Ritengo che non sapremo mai chi abbia inventato
e usato per primo questo piacevole motivo
ornamentale di carattere totalmente fitomorfo.
Testimonianze materiali di rilievo potrebbero
essere andate perdute o giacciono in sconosciute
collezioni private. Occorre ancora indagare.
Lo
studioso Franco Battistella ritiene che il
“fioraccio di fine 800 inizi 900 discenda dal
bouquet di gusto Luigi Filippo” (1773-1850 )
(cfr. Ceramica e Tradizione tra gli Abruzzi e le
Marche, Colonnella, Grafiche Martintype,1977, p.
9).
L’ipotesi di Battistella, purtroppo, non è
documentata. Pertanto non è da ritenere
attendibile.
Il
fioraccio ha avuto ed ha ancora una funzione
primaria nel quadro decorativo della ceramica
popolare abruzzese e italiana.
Costituisce, infatti, una testa di ponte del
bagaglio ornamentale popolare e ogni bottega ha
avuto una versione personalizzata del fioraccio.
I
critici più intransigenti ritengono, invece, che
il fioraccio non venga più prodotto come atto
spontaneo e immediato, ma realizzato per
imitazione. Non va dimenticato, però, che gran
parte della ceramica popolare è prodotta in
serie. E la serialità comporta la ripetitività
e, a volte, anche l’imitazione.
Personalmente penso che, se i ceramisti
continuano ad ornare il vasellame con il
fioraccio (una produzione abbondante era
presente alla 42esima Mostra dell’Artigianato
Artistico di Guardiagrele, ediz. 2012) vuol
dire che il popolo lo riconosce ancora come
elemento della sua cultura figurativa e lo
accetta e acquista.
Non
ritiene, quindi, il fioraccio tema sfruttato,
pur sapendo che questo elemento decorativo si
trascina elementi stilistici e compositivi
risalenti al primo Settecento. |